Il giallo Franceschino riparte dal Dna
Nuovi accertamenti sul delitto del poliziotto dopo la lettera del ”corvo” a Heinichen

Tracce di saliva lasciate su qualche mozzicone di sigaretta e minuscoli frammenti di pelle recuperati su uno straccio sporco. È appesa a questi sottilissimi fili la speranza di risolvere il giallo dell’omicidio di Arnaldo Franceschino, l’ispettore di polizia scomparso il 17 febbraio del 2000 e trovato senza vita in Carso otto mesi dopo. Un giallo tornato d’attualità nelle ultime settimane perché tirato in ballo nelle lettere del ”corvo”. Se un merito infatti può essere attribuito al misterioso grafomane che dal gennaio 2008 perseguita lo scrittore Veit Heinichen, è quello di essere riuscito, dopo quasi nove anni di silenzio, a riaccendere i riflettori su un caso tanto misterioso.
Sono stati proprio i continui, e apparentemente circostanziati, riferimenti alla morte di Franceschino inseriti nelle missive anonime del serial writer a spingere gli investigatori della Mobile a svolgere nuovi accertamenti su alcune tracce di dna repertate all’epoca. Tracce, spiegano gli investigatori, lasciate appunto su mozziconi e panni ritrovati nella Panda grigia rintracciata il 22 maggio del 2000 in via Belpoggio. Auto - descritta dagli inquirenti del tempo come completamente priva di impronte - lasciata quindi non nei paraggi all’abitazione del settantaseienne, che viveva invece in via Giusti, bensì a pochi metri dalla sede del Servizio segreto militare. Una coincidenza quanto mai strana, dettata forse dalla volontà di suggerire un ipotetico coinvolgimento di Franceschino con l’ambiente degli 007 e indirizzare in quel senso le indagini.
Le nuove analisi eseguite sui campioni - gli stessi, precisano dalla Mobile, già esaminati in passato dalla polizia scientifica di Roma -, non hanno tuttavia dato i risultati sperati. L’identità della persona cui appartengono le tracce repertate, forse proprio l’assassino dell’ex ispettore in pensione, continua a rimanere nel buio. Non esistendo in Italia una banca dati del dna, infatti, l’unico modo per scoprire chi, oltre a Franceschino, è salito prima dell’omicidio a bordo della Panda, è confrontare le tracce di sostanze organiche recuperate con quelle dei possibili sospetti.
Ma se, come in questo caso, tutti i raffronti danno esito negativo, anche gli indizi che potrebbero scagionare il colpevole diventano di fatto lettera morta. Come morto, ancora una volta, è il binario sul quale sembrano essersi incagliate le nuove indagini. E pensare che, secondo la versione fornita dal ”corvo”, per dare un nome all’assassino basterebbe in realtà solo un piccolo sforzo. Basterebbe, a suo dire, indagare sulle frequentazioni omosessuali del poliziotto ucciso e concentrare l’attenzione su un ex collega, ancora in servizio ai tempi del delitto, noto in Questura come un personaggio «cinico, spietato, un gay bastardo che tutti cercavano di evitare».
Quell’uomo, si legge nell’ultima lettera inviata al giallista il 23 maggio scorso, arrotondava lo stipendio favorendo l’ingresso in Italia di clandestini. «Faceva il passeur - scrive il corvo -. Aveva dei complici in mezzo mondo, soprattutto in Slovenia, e a volte si serviva del telefono di Aldo (l’abbreviazione con cui viene sempre indicato Franceschino ndr) per prendere accordi attraverso linguaggi in codice».
Sarebbe stato proprio quel poliziotto corrotto, svela ancora il serial writer, a uccidere Franceschino per evitare che quest’ultimo, deciso a entrare a sua volta nel business dell’immigrazione illegale, finisse per rubargli gli affari. E l’avrebbe ucciso anche perché sicuro di poter rimanere impunito grazie alle sue amicizie potenti. «Quell’uomo (il corvo non rivela mai l’identità dell’assassino ndr) aveva collaborato per anni, per indagini sporche e non ufficiali, con un giudice, una persona anziana, alta e ben vestita di cui non so il nome. Lo stesso che una sera io e Aldo, dopo essere andati insieme ai giardinetti di Sant’Andrea, avevamo visto uscire con il poliziotto da un portone di via Tedeschi, prima di salutarsi poi con un abbraccio».
Di più però il corvo non dice perché, nel suo disegno, l’onore di svelare la verità dovrà toccare a una persona in grado di raccontarla in maniera adeguata: un giallista di successo come Veit Heinichen.
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