Il mammut è estinto? Resuscitiamolo

Immaginate mandrie di alci, bisonti, yak e renne che si aggirano nella tundra artica siberiana, un ecosistema scomparso alla fine del Pleistocene, oltre 10.000 anni fa. In mezzo a loro si aggira il mammut peloso, un animale anch’esso estinto in quel periodo. Ha le dimensioni di un attuale elefante asiatico, con fitti peli che ricoprono il corpo e lunghe zanne ricurve. Non è la sceneggiatura di un film, ma il concreto obiettivo del Parco del Pleistocene di Kolyma, un’area di 160 chilometri quadrati fondata dal geofisico Sergei Zimov nel 1996.
Manca ancora il mammut, ma è in corso un progetto ambizioso per generarlo. Revive&Restore, una Ong che si propone di aumentare la biodiversità utilizzando le tecniche che la genetica moderna mette a disposizione, sostiene un progetto di George Church, genetista della Harvard University, che vuole proprio riportare alla luce il mammut. La sequenza del Dna del mammut peloso, ricavata grazie alle numerose carcasse conservate nel permafrost siberiano, ha rivelato che l’informazione genetica di questo animale era il 99.96% identica a quella dell’elefante, e che le due specie di fatto differivano per mutazioni in soltanto 1,652 geni. Church sta allora recuperando interi segmenti di Dna del mammut per introdurli all’interno delle cellule dell’elefante coltivate in laboratorio; grazie alle tecniche dell’editing genetico preciso, le sequenze del mammut vanno progressivamente a sostituire quelle dell’elefante. Alla fine di questo processo, i nuclei delle cellule ingegnerizzate saranno iniettati in una cellula uovo dell’elefante, secondo i principi della clonazione che hanno generato la pecora Dolly. Sfruttando un elefante come madre surrogata, nascerà una nuova creatura del tutto simile al mammut estinto.
Grazie a editing genetico, clonazione e biologia sintetica, la de-estinzione, come ormai questa scienza viene chiamata, sta diventando una realtà. Progetti paralleli vogliono riportare in vita il tetraone di Martha’s Vineyard, una specie di gallina delle praterie della costa est americana, estinto negli anni ’30 del secolo scorso. O il piccione migratore, descritto da Linneo e molto frequente nel Nord America fino alla fine del 1800. Diverse altre specie seguono in coda.
Se il concetto della de-estinzione vi appare alquanto bizzarro - per me francamente è così -, considerate che l’uomo ha giocato con la natura da sempre, addomesticando piante e animali a piacimento e causando l’estinzione di migliaia di specie per le proprie necessità o per i cambiamenti che ha causato all’ecosistema. De-estinguere le specie sembra ora una nuova attività, intellettualmente sofisticata, per ribadire ancora la supremazia umana sulla natura. Forse interessante, ma speriamo che non vada a finire come Jurassic Park. —
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