Il monte Sopra Selz altopiano della morte

RONCHI DEI LEGIONARI. Monte Sopra Selz, quota 85 e quota 65, le alture di Vermegliano. Sono solo alcuni luoghi simbolo del passaggio della Prima guerra mondiale, a Ronchi dei Legionari. Alcuni segni sono ancora ben visibili, la storia non si cancella con il tempo. Intenso e appassionato è stato il lavoro che ha visto e vedrà ancora impegnati i “Grigioverdi del Carso” per fare in modo che queste tracce rimangano indelebili e possano rappresentare un momento di sosta e riflessione, ma anche di monito per le prossime generazioni. Occasione di visita alle trincee ed ai camminamenti liberati dalle erbacce e dagli arbusti cresciuti in cento anni di esistenza, è stata, sabato scorso, la cerimonia promossa dall’amministrazione comunale per ricordare i sottotenenti Vincenzo Geraci e Giovanni Guccione, morti proprio durante gli aspri combattimenti della Grande guerra.
Un’inizativa che ha ridato luce al monumento, a loro dedicato, che sorge proprio accanto alle tante testimonianze. «Era oltremodo doveroso, a 100 anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale, assieme a tutte le associazioni presenti – ha detto il vicesindaco Livio Vecchiet - ricordare accanto a questo monumento inaugurato nel 1964, che come si può vedere era circondato da ben 20 cipressi, le gesta di questi due uomini, ma contemporaneamente non dimenticare le centinaia di migliaia di uomini che morirono senza sapere bene il perché per la nostra patria, ricordare per non dimenticare».
Cento anni fa su questo tratto di Carso era in pieno svolgimento la terza battaglia dell’Isonzo che si tenne dal 18 ottobre al 4 novembre 1915. Il 21 ottobre morirono centinaia di soldati, soprattutto fanti, tra questi Vincenzo Geraci e Giovanni Guccione che per le loro gesta eroiche furono insigniti della medaglia d’oro. Lo stesso giorno cadde, sulle alture di Vermegliano, anche Ugo Polonio. Proprio quota 65 era denominata dai soldati italiani la porta dell’inferno o anche da alcuni libri di allora l’altopiano della morte. I soldati quando erano destinati a questi luoghi sapevano già l’altissimo rischio che correvano di perdere la vita.
Recenti libri di storici austriaci riportano dati agghiaccianti: citando solo la data tra il 21 ottobre e il 22 ottobre 1915, tra il Monte Cosich e il monte San Michele morirono circa 4mila nostri soldati, senza contare i feriti, e i caduti dell’esercito austroungarico. Accanto ai resti delle trincee, ai resti dei pali che reggevano il reticolato, che si possono ancora vedere e fanno capire in che condizioni combattevano i giovani di allora, nelle trincee i nostri soldati, vivevano, dormivano, tra odori terribili, accanto ai cadaveri dei loro compagni morti, che non potevano essere sepolti.
Luca Perrino
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