Il panettiere che sforna “bighe” e adora il football americano

Una vita con le “mani in pasta” per Stefano Cadenaro nel forno triestino di famiglia «Oggi con più negozi vendiamo meno pane di 17 anni fa. I più richiesti sono i dolci»
Di Benedetta Moro

di BENEDETTA MORO

Bighe, “s'ciopette”, baguette, due quintali e mezzo al giorno e football americano. Questa è la vita di Stefano Cadenaro. Un'estrema complicità tra i due mondi. Cadenaro non ha ancora realizzato delle pagnotte a forma di pallone con cuciture vistose e una impugnatura per permettergli di maggiore forza e riuscire a fare quei lanci da oltre 50 metri. Sta di fatto che due volte alla settimana, tre in alcuni periodi, Lui, 30 anni, e da 15 alle prese con l'attività di famiglia, il panificio-pasticceria Cadenaro, si allena in campo in serie A2, dividendo così la propria vita tra il forno e lo sport. Solo da amatore però. Il football americano in Italia non ha la stessa valenza che lo caratterizza nel paese d'origine.

Giornata tipo, prendiamo un sabato qualunque. Sveglia alle due, due e mezza, un'ora prima rispetto agli altri giorni, oggi deve panificare il doppio, anche per la domenica, e preparare alcuni impasti per il lunedì. Direzione via Rittmeyer, dove dall'entrata laterale s'infila per primo e apre la bottega. Solo che questa notte Stefano ha dormito solo due ore, perché tra l'allenamento, che porta avanti da quattro anni, e la cena, si è addormentato alle 23 e qualcosa. Ma non è stanco, tanto appena avrà finito di lavorare, verso le 13, continuerà il suo secondo round di sonno. Per fortuna non è ancora tempo di panettoni, altrimenti finirebbe appena alle 16. Dopo pranzo infatti avanza la stanchezza e per Stefano è di nuovo notte. Se non si riposa, va in palestra. Appena ha del tempo, evade i confini triestini per viaggiare con la sua compagna. E quando ha qualche ora da perdere - quasi mai - si diletta nel creare pane a forma di cigni, o di animali in generale, zucche in pane, “sperimento nel limite del possibile - dice -, ma evitando gli stampi già pronti perché facciamo tutto nel modo più artigianale possibile”.

Ma ritorniamo alle tre del mattino nel laboratorio di panificazione. Due sono gli impasti che inizia a fare. Pian piano lo raggiungono anche un altro collega, un aiutante, il padre, che si occupa del cioccolato e che viene svegliato dalla moglie, e il fratello Matteo, creatore di dolci, che è invece Stefano a buttare giù dal letto via telefono. E di giorno invece sono le donne al bancone a vendere le prelibatezze artigianali della famiglia Cadenaro, che nel tempo, dal 1962, ha ampliato i propri spazi, aggiungendo un altro forno in via Palestrina, dove c'è lo zio di Stefano a occuparsi dei prodotti salati, e uno in via Giulia. Tutto in continua evoluzione. Dal 1976 hanno aperto l'attuale negozio di via Rittmeyer, che poi è stato a sua volta ampliato con laboratori sempre più grandi. Il corpo e le mani energiche di Stefano gli permettono di spostare quantità di farine considerevoli e di impastare con la giusta vigoria, anche se comunque ad accompagnare il suo lavoro sono alcune macchine. Ma i tre Cadenaro hanno tutti un fisico possente per permettersi di creare con le proprie forze prodotti di questo tipo. A Stefano, forse il membro della famiglia che più si è abituato ai turni notturni, non pesa quasi per nulla alzarsi così presto. E anche la passione per il pane, che ormai lo contraddistingue da tutta la vita, è una cosa innata. «Da quando eravamo piccoli, passavamo ogni giorno diverse ore nel panificio ed è stata quindi una cosa naturale entrare poi a far parte del team». Un piano B non si è mai palesato nella sua mente. «È stata una logica evoluzione della vita, sono sempre stato abituato alla cultura del lavoro». Lui ha preso il posto dello zio. «È usurante il lavoro di notte» dice invece il papà, lui che il peso delle levatacce lo sente molto di più, perché ha iniziato a 12 anni a lavorare con il proprio padre prima di andare a scuola. Ora ne ha 54, quindi sono esattamente 42 quelli che ha trascorso faticando, quasi il triplo di Stefano. Ma sa anche molto bene che ogni sforzo produce la nascita di un frutto, "«chi dice “no se pol” vuol dire che non ha voglia di fare» aggiunge. Le impastatrici, in cui Stefano ha messo i primi due amalgami della giornata, continuano a far girare il proprio gancio. La consistenza è compatta, liscia, sembra panna. E le quantità sono calibrate al milligrammo. Il terzo composto invece è ai cereali. In alcune aggiunge la pasta di riporto, quella in avanzo, per acidificarlo e rendere più fragrante il pane. «Oggi, paradossalmente, con più negozi - racconta Stefano - vendiamo meno pane di quando avevamo un solo punto vendita, 17 anni fa. I dolci sono molto più richiesti». La moda è cambiata, le usanze risultano differenti. Se per i pasticcieri i corsi di aggiornamento o di creatività dilagano in nuovi laboratori, su tutti i social e canali televisivi, il panettiere «è visto invece ancora come una professione che si sceglie perché non si ha voglia di continuare gli studi» commenta Stefano. Lui, a parte un anno di scuola professionale a Cividale, non frequenta alcuna lezione. I giri della pasta, molto tenera, sono terminati. È ora di lasciarla lievitare 45 minuti, per poi passare a spianarla. O sono le mani di Stefano a distenderla oppure è la raffinatrice, che riesce a gestire fino a 18 chili di impasto. Step successivo: la formatura. Per i pani di dimensioni più piccole si usa la formatrice, vedi le rosette. Per le ciabatte, per esempio, invece a lavorarle è Stefano. C'è tempo poi ancora per un'ulteriore lievitazione di altri trenta minuti circa. Ma tutto dipende dall'umidità. «Se ce n'è di più, il composto è più cedevole e quindi ci vuole meno acqua» spiega Stefano. «E anche i tempi di cottura cambiano». Il lievito comanda tutto assieme all'umidità. «C'è un enorme differenza tra estate e inverno - spiega ancora Stefano -. Nei periodi più freddi aggiungo più lievito, perché la temperatura dell'impasto è più bassa e c'è bisogno della stessa forza di lievitazione». E non parliamo quando c'è la bora, che mitiga l'ambiente umido che serve al pane.

Le teglie, 36, vengono messe all'interno dei forni a gas con un ordine preciso, per una cottura che dipende dall'impasto e dalla forma del pane. Si varia dai 50 minuti all'ora e mezza. Nel forno rotativo invece vanno le baguette francesi, lo stesso utilizzato per le brioche. Alle sette invece è il momento di tirare fuori dalle celle di lievitazione l'impasto preparato la mattina precedente. Guardando il bancone grondante di dolci e pane, uno si chiede come si possa lavorare in mezzo a tanto ben di Dio senza peccare di gola. Stefano ammette subito: «Stendiamo un velo pietoso». Anche lui “sbecola”, come si dice a Trieste, un po' durante le varie ore di lavoro. Non ha una ferrea regola di alimentazione, ma come biasimarlo. E il pane in eccesso che fine fa? Dai Cadenaro non avanza quasi mai. Ma se accade, allora lo si conserva per grattugiarlo e il resto lo si mette da parte per la Comunità di San Martino al Campo. A girare nel laboratorio alle sei e mezza di mattina una volta erano in quattro, ora invece c'è un altro dipendente, un panettiere, che aiuta Stefano. La domenica per fortuna è il giorno di riposo, il giovane Cadenaro potrà trascorrere il tempo con la sua compagna, ma lunedì mattina si ricomincia alle quattro e mezza. La sua ragazza lavora da casa. In ogni caso riescono a coniugare il proprio lavoro. E tutto fila liscio, come la pasta del pane.

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