Il picchio sotto esame: salverà il Super Bowl

Domenica scorsa, alla fine di un appassionante match a Minneapolis, i Philadelphia Eagles sono riusciti a strappare ai New England Patriots il prestigioso trofeo del Super Bowl, la partita di football americano più attesa negli Stati Uniti e seconda solo alla finale di Uefa Champions League per numero di spettatori televisivi a livello mondiale.
Insieme all’eccitazione per il Super Bowl, però, quest’anno sono state veementi le polemiche sulla pericolosità del football americano e degli altri sport che causano traumi ripetuti alla testa. Hockey, rugby, arti marziali e pugilato determinano una condizione nota come encefalopatia cronica traumatica (Cte), una malattia neurodegenerativa irreversibile che ricorda il morbo di Alzheimer e che porta alla demenza o alla tendenza suicida. Il problema, portato alla ribalta del grande pubblico con il film “Zona d'ombra”, interpretato da Will Smith nel 2015, è talmente serio che, in un articolo sul New York Times dell’estate scorsa, Ann McKee, professore alla Boston University e massima esperta di Cte, aveva rivelato che su 111 cervelli di giocatori professionisti della Nfl americana, 110 mostravano segni avanzati di Cte all’autopsia. Sempre McKee, la scorsa settimana ha mostrato come il cervello di atleti adolescenti che hanno subito anche traumi minori ma ripetuti porti segni di neurodegenerazione, incluso l’accumulo della proteina tau, una delle caratteristiche dell’Alzheimer.
L’allerta per la Cte nei praticanti gli sport di contatto sta spingendo le industrie a sviluppare caschi sempre più sofisticati, in grado di assorbire gli impatti alla testa. E in questa impresa l’animale più studiato è il picchio, il cui cervello, a ogni beccata, assorbe una forza più di 10 volte superiore a quella che nell’uomo causa una commozione cerebrale. Per resistere a questi traumi, l’evoluzione ha fornito al picchio muscoli del collo molto sviluppati in grado di dissipare la forza e una struttura particolare delle ossa del cranio. Ma l’adattamento sembra essere più complesso di un semplice assorbimento meccanico. Sempre la scorsa settimana, altri esperti della Boston University hanno analizzato il cervello di 10 picchi conservati in vari musei, rivelando come anche in questi animali vi sia in realtà un accumulo della proteina tau, senza però che il tessuto cerebrale mostri segni di sofferenza. Cosa protegga il cervello del picchio dalla neurodegenerazione, quindi, rimane ancora un mistero.
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