Il Pm accusa: «Perseguiti interessi privati all’Aussa Corno»

SAN GIORGIO DI NOGARO. Il loro compito statutario era di acquisire aree agricole, servirle con infrastrutture pubbliche, riconvertirle a un uso industriale e, infine, rivenderle e portare così nelle...

SAN GIORGIO DI NOGARO. Il loro compito statutario era di acquisire aree agricole, servirle con infrastrutture pubbliche, riconvertirle a un uso industriale e, infine, rivenderle e portare così nelle casse dell’ente le plusvalenze derivanti dal maggiore valore acquisito dai terreni con il cambio di destinazione. Chiaro e semplice. E invece, quantomeno dal 2007, chi ha amministrato il Consorzio per lo sviluppo della Zona industriale dell’Aussa Corno ha totalmente disatteso gli obiettivi indicati e perseguito invece interessi privati. È la tesi, pesante come un macigno, sostenuta dal pm Viviana Del Tedesco nella memoria depositata lunedì al tribunale fallimentare, per illustrare, la fondatezza della richiesta di declaratoria dello stato d’insolvenza della Ziac avanzata dal commissario liquidatore, Marco Pezzetta.

Non a caso, è proprio attorno alle attività svolte dal Consorzio negli ultimi otto anni che ruota l’inchiesta penale in cui, al momento, figurano indagati Cesare Strisino e Marzio Serena, nelle loro rispettive funzioni di allora presidente e di direttore, per l’ipotesi di reato di concorso in malversazione ai danni dello Stato. In ballo un “buco” a sei zeri - circa 77 milioni di euro di debiti, secondo i calcoli del commissario - e, in particolare, le modalità di utilizzo degli oltre 21 milioni di euro di contributi ricevuti tra il 2002 e il 2009 dalla Regione, a copertura dei mutui accesi per opere di completamento e potenziamento di infrastrutture nell’ambito di Porto Nogaro. Stando agli accertamenti della Guardia di finanza, quasi 11 milioni sarebbero stati adoperati per far fronte ad altri impegni economici, tra cui l’acquisto di una serie di terreni (le aree denominate “ex Oleificio”, “ex Montecatini” ed “ex Cogolo”, ex Decof ed ex Radicifil). La cifra corrisponde a quanto indicato da Pezzetta, quale residuo non impiegato per gli interventi programmati nei “Piani Porti” approvati dal 2002 al 2009 e mai riaccreditato sul conto di tesoreria. Le operazioni sarebbero avvenute tra il 9 aprile 2010 e il 20 luglio 2011 e, in tesi accusatoria, avrebbero contribuito a incrementare il saldo negativo del consorzio, indicato in 2.066.976,52 al 31 dicembre 2013.

Ora, allo stringato capo d’imputazione notificato agli indagati a metà gennaio si aggiunge la ben più articolata memoria, con cui la Procura punta a dimostrare la piena “titolarità” del Consorzio a essere incluso tra le imprese soggette alle procedure di fallimento e di concordato preventivo. «Quantomeno dal 2007, l’attività pubblicistica del Consorzio si è rivelata fittizia – scrive il pm –. In realtà, ha svolto in maniera dissennata attività d’impresa privata, favorendo oggettivamente i venditori degli immobili acquistati con la consapevolezza di protrarre per anni una situazione di decozione finanziaria “protetta” dallo schermo della veste giuridica pubblica». Il che, a suo parere, basta e avanza per escludere la natura pubblica dell’ente. A non quadrare, per l’appunto, è la logica degli investimenti immobiliari. È la stessa pm a ricostruire il meccanismo e a definirlo «distorto». Tutto parte dall’acquisto di «aree già urbanizzate, storicamente destinate a insediamenti industriali, tutte connotate da problematiche ambientali irrisolte», a prezzi «anche superiori a quelli di mercato». Nel farlo, il Consorzio «si accolla i costi delle bonifiche dei siti inquinati, in deroga al principio di “chi inquina paga”, così favorendo i rispettivi venditori», peraltro «senza coinvolgere gli enti pubblici territoriali», e «stipula mutui bancari per onorare il pagamento e, in parte, utilizza denaro pubblico erogato dalla Regione per altre finalità. La decisione del tribunale fallimentare è attesa a giorni.

(ldf)

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