In Fvg i primi vaccini anti Covid a 265 “cittadini simbolo”. E Fedriga lancia la corsa

UDINE L’Ema, l’Agenzia europea di controllo dei farmaci, ha dato il via libera al vaccino Pfizer - Biontech e anche in Friuli Venezia Giulia il conto alla rovescia può partire: domenica prossima saranno iniettate le prime 265 dosi ad altrettante persone tra medici e ospiti delle case di riposo. «Saranno tutti cittadini simbolo», precisa il governatore Massimiliano Fedriga, disposti a dare il buon esempio per invogliare migliaia di persone a fare lo stesso nei giorni successivi. Il 28 dicembre la struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri, recapiterà in Fvg 10 mila delle 50.094 dosi assegnate alla nostra regione e l’auspicio di tutti è che nessuno si tiri indietro.
Si partirà dagli operatori sanitari e dagli ospiti delle case di riposo per arrivare agli ultra ottantenni e alle altre categorie a rischio. È una corsa contro il tempo accelerata, nelle ultime ore, dall’arrivo in Italia della variante inglese del virus. Per ragioni di sicurezza il luogo dove saranno iniettate le dosi continua a rimanere segreto. In campo sono scese le Aziende sanitarie, i farmacisti, medici di base e tecnici, volontari della protezione civile e pure l’esercito che ha già confermato la presenza nei dipartimenti di prevenzione degli infermieri e dei medici militari già utilizzati nell’attività di contact tracing.
Sarà la struttura commissariale ad assegnare alle regioni il personale da dedicare alle vaccinazioni, nelle scorse settimane era stata ventilato anche l’impiego dei giovani medici ancora in attesa di accedere alle scuole di specializzazione. Intanto in regione l’allestimento dei frigoriferi speciali per conservare a meno 70 gradi le fiale Pfizer-Biontech è quasi ultimato, mentre si cercano ancora le soluzioni possibili per superare lo scoglio dei consensi informati da parte dei parenti e degli amministratori di sostegno delle persone non autosufficienti accolte nelle case di riposo.
Una tessera dopo l’altro il puzzle si sta completando. Ora l’appello non può che essere: vaccinatevi. «Non c’è alcun obbligo, ma è importante una partecipazione di massa altrimenti, lo dico con chiarezza, dopo alziamo le mani e nessuno si lamenti del Covid», incalza Fedriga, convinto che la battaglia contro il virus si vince se, in tempi brevi, si raggiunge l’immunità di gregge. «La Regione sta facendo uno sforzo enorme per organizzare tutta la macchina del vaccino, sarebbe drammatico se dopo questo sforzo in termini di personale, di fatica e pure economico, l’obiettivo venisse vanificato da una scarsa partecipazione alla campagna vaccinale». «Stiamo valutando – ha aggiunto il presidente – di far partire in parallelo alla procedura nazionale anche un sistema regionale per avere un backup. Su questo siamo molto strutturati perché abbiamo fatto diverse campagne vaccinali. Cambiare sistema perché Arcuri ha deciso così va bene, però è sempre meglio avere una rete di protezione basata sulle capacità acquisite in questi anni come sistema sanitario regionale».
Fedriga ha già fatto sapere che non appena arriverà il suo turno non esiterà a sottoporsi alla vaccinazione. Il presidente auspica, infatti, che il 6 gennaio non venga meno il via libera dall’Ema anche al vaccino di Moderna per vere un maggior numero di dosi a disposizione. «Sui vaccini sento teorie molto bizzarre quando tutti gli studi confermano che anche la velocità con la quale sono stati fatti questi vaccini è dovuta all’immensa quantità di risorse che è stata messe a disposizione dalle case farmaceutiche, una quantità di risorse superiore a qualsiasi altro vaccino. Tutto questo – ha concluso Fedriga – è dovuto al fatto che sono state trovate molte persone sulle quali fare i testi nelle fasi uno e due».
Non solo vaccini però. Ieri a Palmanova è stato il giorno del debutto della telemedicina in Fvg, il cui scopo è quello di ridurre i ricoveri e quindi i tassi di occupazione dei posti letto ospedalieri e di fronteggiare la carena di personale. I pazienti contagiati dal Sars-Cov2 asintomatici o con sintomi lievi possono essere curati a casa. I medici di medicina generali possono fare la diagnosi senza avere fisicamente il paziente di fronte. Possono farlo utilizzando i 1.500 kit, composti da un tablet dotati di sim e collegato via Bluetooth con uno sfigmomanometro, un pulsossimetro e un termometro, acquistati dalla Protezione civile con i soldi ricevuti in dono dai cittadini per fronteggiare la pandemia. Un Kit può avere fino a 31 fruitori e, quindi, potrà essere utilizzato nelle case di riposo e pure dai nuclei familiari con più contagiati. I 1.500 kit, infatti, consentono di monitorare un numero molto superiore di persone.
Complessivamente l’investimento ammonta a un milione di euro: il progetto sviluppato in circa cinque mesi è stato reso possibile oltre che dalla Protezione civile anche dalla Direzione generale salute, dalle Azienda e dai Distretti sanitari, dalla ditta che si è aggiudicata la fornitura, l’Abintrax di Monopoli (Bari), dai medici di medicina generale e dai pediatri. «Una volta individuato il paziente da sottoporre a monitoraggio – ha spiegato il direttore del Numero unico di emergenza (Nue), Nazareno Candotti – i medici di base possono controllarlo a distanza mentre il paziente sta tranquillamente a casa. Se il medico riscontra qualche anomalia attraverso il tablet, contatta immediatamente il paziente che può essere invitato a misurarsi la temperatura, la pressione arteriosa o l’ossigenazione del sangue attraverso il saturimetro. I dati vengono trasmessi sempre attraverso il tablet dallo stesso paziente. I kit vengono consegnati nelle scatole di cartone (ne sono state acquistate 4.500) a perdere, mentre l’attrezzatura alla fine dell’utilizzo sarà sanificata dal personale dell’Abintrax.
«Il più grande errore che potremmo fare è ridurre l’emergenza Covid-19 ai soli aspetti clinici che sono una parte del fenomeno - ha spiegato il vicepresidente con delega alla Salute Riccardo Riccardi - perché anche la solitudine e la paura, soprattutto in un’emergenza pandemica, sono fattori di rischio. Per essere davvero vicini alle persone abbiamo bisogno di sburocratizzare l’organizzazione sanitaria e digitalizzarla facendo in modo che tutti ricevano la dovuta assistenza anche senza doversi recare in ospedale». —
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