«Io, presunto criminale non ho potuto dire in aula nemmeno una parola»

la lettera

“Sono sereno e ho piena fiducia nella magistratura...”.

Ormai questa è divenuta una formula in Italia, e sebbene il significato rimane alto, l’utilizzo per cui se ne richiede applicazione – piaccia o no è la mia idea – è esagerato per i troppi ricorsi a essa che i cittadini in Italia si trovano obbligati a presentare, mai dimenticando che fino a prova contraria, l’innocenza in questo Paese non è messa in discussione preventiva.

Eppure per il sottoscritto, semplice dipendente della Cooperativa Sirio – all’epoca appartenente al Consorzio dove Connecting People già gestiva i Centri di Gradisca d’Isonzo, tutti oggi finalmente assolti con formula piena da ogni accusa sostenuta da un’indagine della Guardia di Finanza assai costosa per i contribuenti e durata circa dieci anni – la mia persona di serenità ne ha vista poca e ne intravede ancora meno.

La realtà è che in una piccola località, già piuttosto triste per quel che riguarda il mondo del lavoro, un nome e cognome rimane nella memoria e specie se viene inteso e collegato a un capo d’accusa come quello di “associazione a delinquere” , dove i “teoremi” si sono sprecati senza mai fornire una che sia una di prova concreta.

Dieci anni che quel “le faremo sapere” (altra frase rituale in Italia: mi sbaglio?) a differenza dei “malcapitati” come me ben inseriti nel sistema-lavoro grazie ai loro meriti, fortuna e quant’altro, è risuonato sempre come una campana stonata o chiamata a funerale.

Un “semplice dipendente” che nel corso dell’esperienza lavorativa, sostenuta con umanità e compassione, insieme a detenuti e persone in cerca di fortuna pressoché dimenticate, che ha collaborato attivamente con Caritas (a proposito: grazie don Paolo!) e ha organizzato l’incontro con l’arcivescovo monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli all’epoca in cui non ricevemmo lo stipendio per tre e forse quattro mesi di fila e che, grazie alla mediazione perfezionata si risolse, poteva essere messo alla sbarra come presunto criminale e senza mai aver avuto la possibilità in dieci anni e nemmeno in aula di Tribunale di dire una sola parola per capire e per chiarire che cosa fosse accaduto?

Fosse questa una domanda per cui aspettare una risposta, direi senza dubbio di sì, e questo personalmente non fa nessuna piega al mio pensiero che sovente è corso allo studio dell’avvocato Tarlao, che ringrazio pubblicamente e al direttore Vittorio Isoldi che stimo oggi come allora. Non mi si chieda di sottoscrivere la formula dell’inizio della lettera però e, semmai, la si rilegga come “non sono stato sereno, non ho avuto la forza economica di esserlo e poca è la fiducia nella magistratura sapendo che mai avrò possibilità di essere risarcito, come per altro mi è già stato fatto intendere...

Gianluca Negro

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