Ippodromo chiuso, 100 posti a rischio

Preoccupazione anche per l’indotto. Martedì i driver porteranno i cavalli in piazza Unità
di Ugo Salvini
TRIESTE L’ippica è in crisi e più di cento famiglie a Trieste sono in apprensione per il loro futuro. Una struttura che vanta 116 anni di vita, come l’ippodromo di Montebello, sorta di monumento cittadino al trotto, vuota e senza corse da più di dieci giorni. Incertezza diffusa per il domani fra gli addetti ai lavori e in chi opera nell’indotto.


Si aggrava di giorno in giorno la situazione dell’ippica italiana, ferma per sciopero, e, con essa, quella del mondo che gravita attorno al trotto triestino. Una realtà complessa, che dà sostentamento a più di un centinaio di persone, fra driver, artieri, impiegati e operai della Nord Est ippodromi, la società che gestisce l’impianto, autisti dei van per il trasporto dei cavalli, veterinari, fornitori di biada. C’è poi un ampio indotto, che riguarda soprattutto coloro che lavorano all’ippodromo nelle giornate di corse, che sono gli sportellisti dei banchi per le scommesse, gli addetti alla manutenzione della pista, i responsabili del fotofinish. Un altro centinaio di persone in tutto, per i quali l’ippica rappresenta un secondo lavoro, molto spesso decisivo per gli equilibri finanziari della famiglia. Per tutti all’orizzonte sta prendendo corpo l’incubo della perdita del posto di lavoro.


«Martedì andremo in piazza dell’Unità con alcuni cavalli – annuncia Nicky Esposito, storico guidatore dell’anello triestino e presidente dell’Unagt, una delle organizzazioni di categoria, da sempre in prima linea nelle battaglie a difesa dei lavoratori del trotto – ed esporremo gli striscioni per presentare le nostre ragioni, che ho già esposto al sindaco Dipiazza, il quale ci ha garantito la massima attenzione al problema». L’ippica italiana si è fermata perché il montepremi, cioè il danaro messo in palio per ogni corsa e che rappresenta l’unico sostentamento per i proprietari delle scuderie, è in continuo calo.


«Oramai l’Unire, che è l’ente nazionale che sovrintende all’ippica – spiega Dario Edera, presidente dell’Associazione proprietari dell’Alpe-Adria – versa in grave ritardo i premi vinti, progressivamente ribassati negli ultimi dieci anni, al punto che anche chi ha in scuderia cavalli che vincono spesso non riesce più a sostenere le spese di mantenimento. I costi per cibo, medicinali, di pensione, di allenamento e di trasferte sono lievitate oltre ogni limite e per giunta l’Unire ha deciso di abbassare ancora il montepremi. Non possiamo continuare così».


«Non basta un provvedimento tampone per chiudere l’anno – dichiara ancora Esposito – serve invece un riordino generale del sistema. Non è accettabile che il prelievo dello Stato sulle scommesse sui cavalli sia più alto che in tutti gli altri giochi. Si va dal nostro 4,5 per cento al 2,5 di tutte le altre scommesse e non è giusto. Anzi, dovrebbe accadere il contrario, perché sono le corse dei cavalli che hanno dato storicamente il via al gioco in Italia e lo Stato dovrebbe prendere una percentuale delle scommesse sulle slot machine per girarlo a noi, in modo da permetterci di proseguire nell’attività. L’ippica è a rischio collasso».


Vanno proprio in questa direzione le più recenti richieste delle organizzazioni di categoria a livello nazionale. Il comitato di crisi, che ha avuto ripetuto incontri con esponenti del governo, finora tutti senza esito, per sospendere l’agitazione pone due condizioni: che sia garantito un montepremi pari almeno e quello del 2007 e che sia previsto un percorso che garantisca la neutralità fiscale fra le scommesse ippiche e sportive.


Sull’opportunità della protesta concorda anche il direttore della Nord Est ippodromi, Stefano Bovio, che però fa questa riflessione: «I motivi sono validi, ma prolungare lo sciopero a oltranza potrebbe mettere in ginocchio un mondo che già scricchiola. Ritengo inutile un provvedimento tampone, bisogna invece che proprio dall’ippica, cioè dalle persone competenti in materia, arrivino le proposte per rifondare un mondo che necessita di grandi cambiamenti. Non serve assistenzialismo, ma progettualità. Se il prodotto è vecchio, bisogna rinnovarlo, non prolungarne l’agonia con interventi sporadici che lasciano il tempo che trovano».

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