Isonzo, il fiume che Gorizia non ama

Dal parco di Piuma alla spiaggetta dell’Olimpo di Michelstaedter alla diga: un triste percorso nell’indifferenza
A Gorizia da millenni si aggira un fantasma che nel corso dei secoli ha offerto l’inchiostro in cui intingere il pennino della storia. Questo fantasma si chiama Isonzo. Il fiume sacro alla Patria (e secondo alcuni ai Popoli d’Europa) lambisce quasi sempre placido una città che non lo degna di uno sguardo. Ci sono ragioni urbanistiche che hanno determinato tale situazione che nell’articolo qui sotto bene sono enunciate dall’architetto Diego Kuzmin.


L’acqua dell’Isonzo - che spesso si propone indossando una livrea turchese da restare incantanti per la bellezza da mozzare il fiato - a Gorizia è un’acqua operaia. Da fine Ottocento agli anni Ottanta del Novecento forniva energia per gli opifici di Straccis. Da qualche decennio viene sacrificata all’irrigazione, poco alla produzione di energia. In una città in perenne ricerca di vocazione, e che spesso non sa rispondere alle sollecitazioni esterne, fa specie che un patrimonio come l’Isonzo sia relegato ai margini estremi di qualsia progetto di rilancio economico e culturale.


In fondo dell’Isonzo i goriziani se ne sono accorti l’ultima volta il 19 marzo del 1980, quando alle 16.45 tre potenti detonazioni cancellarono il vecchio ponte 8 Agosto per lasciare spazio al moderno, all’epoca viadotto. Di quel ponte, che ancora oggi molti chiamano 9 Agosto, rimane una parte di spalletta su cui è posata la lapide “Isonzo fiume sacro alla patria”. Sull’altra sponda e dall’altro lato un’altra lapide: ricorda la morte per annegamento di giovani scout, tragedia avvenuta molti anni addietro.


Ma nulla esiste a Gorizia che esalti il fiume. E non servono certo altre lapidi. Peggiore dell’assenza è l’indifferenza. Come quella delle istituzioni confluite nel Gect che da anni e anni paventano senza costrutto la realizzazione di una pista ciclabile lungo l’Isonzo di collegamento tra Gorizia, Nova Gorica e Sempeter.


Quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del tratto goriziano dell’Isonzo, il parco di Piuma, oggi è un fiore piuttosto appassito. Che fa il pari, come salute, con la passerella di Straccis: è il luogo dove meglio che altrove si può cogliere l’assenza del fantasma Isonzo. Ebbene, osservando a valle - e magari tralasciando di notare come il divieto di pesca sia puntualmente inevaso - balza evidente la potenzialità di uno sfruttamento turistico culturale degli edifici oggi abbandonati e un tempo asserviti all’industria. Ai piedi di Villa Ritter, ad esempio, si potrebbe ricavare una deliziosa passeggiata con tanto di chioschi e speakers’ corner. Un’alternativa per le serate estive a costi ridotti.


Risalendo il fiume, in sponda sinistra, prima di arrivare all’amena distesa di via degli Scogli che pare sentirsi osservata con cipiglio dal vecchio Sabotino, non è più visibile quasi sotto al ponte del Torrione l’Olimpo, lo sperone roccioso cilindrico così ribattezzato da Carlo Michelstaedter che su quella spiaggetta di fine sabbia si cullava nei rari momenti di spensieratezza. Il sito, davvero suggestivo, è inibito al pubblico nonostante la presenza di un sentiero. Quel tratto infatti è (o lo era fino a poco tempo fa) di pertinenza dei pescasportivi che per il divieto di pesca di cui sopra non avrebbero ragione di esseci. Un accordo bonario tra il Comune e questa associazione per riscoprire e valorizzare la spiaggetta dell’Olimpo sarebbe cosa buona e giusta. Giacché il povero Carlo non solo in soffitta viveva.


Il riscatto dell’Isonzo nel tratto goriziano avviene proprio quando non si chiama più Isonzo. Allo stadio del kajak di Salcano l’acqua della Soca sopravvissuta allo sbarramento basta e avanza perché nel fiume e con il fiume ci si possa divertire.


Nemmeno la diga hanno regalato all’Isonzo. Mica un capriccio, l’impianto era previsto dal Trattato di Osimo. Chissà che fine hanno fatto quei 23 miliardi di lire stanziati per farla. Magari sono in un forziere in fondo all’Isonzo.


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