Isonzo, l’analisi del geologo: «Dal confine in giù al momento i flussi sono incontrollabili»
Pizzin: «La realizzazione di uno sbarramento deve tenere conto
dell’idraulica, della permeabilità dei terreni e della sicurezza»

«Va cercato il giusto equilibrio». Dal punto di vista neutrale del geologo, per Federico Pizzin, la discussione della IV Commissione regionale sulla bozza di progetto per la regimentazione dell’Isonzo, presentata del Consorzio di bonifica della Venezia Giulia, ha tenuto conto di differenti aspetti; aspetti che spaziano dall’idraulica, alla permeabilità dei terreni, senza dimenticare la sicurezza geostatica. Gli elementi vanno messi in relazione tra loro e solo a quel punto possono essere valutati nel complesso. Pizzin si occupa di geologia e idraulica nel campo edilizio e ambientale e anche a lui era stato chiesto di preparare uno studio sull’Isonzo. «Anni fa il discorso sulla diga di Piedimonte era stato poi sospeso e, per l’irrigazione dei vigneti del Collio, erano stati realizzati dei laghetti artificiali alternativi: ad esempio a Dolegna o a Prepotto. In parte sono già in uso, in parte devono essere ancora collegati alla rete distributrice. Sono utili anche per le attività anti-incendio».
Pizzin, tra il suo studio e quello presentato in Regione qual è la differenze maggiore?
«La più importante direi che è la presenza dell’invaso da 52 mila meri cubi di accumulo nell’ex Cava Postir di Sagrado».
Prima ancora di parlare degli invasi, per quanto riguarda la difesa dalle piene, la discussione sulla sicurezza è sempre tra chi vuole sghiaiare il letto dei fiumi e chi invece chiede di alzare gli argini. Qual è la soluzione migliore?
«Cominciamo col dire che esiste un ente, che nel nostro caso è l’Autorità di Bacino delle Alpi Orientali, che ha studiato e mappato tutti i bacini de fiumi del Triveneto e ha determinato le zone esondabili, recuperando anche tutti i dati storici. Questo per spiegare che nello studio del fiume vanno considerati e calcolati elementi in grado di definire le zone dove ci sono pericoli di esondazione e le zone dove, al contrario, c’è il rischio che venga a mancare il minimo flusso vitale d’acqua, come ad esempio è accaduto nell’estate di due anni fa. In sostanza si vedono le carenze e la pericolosità».
Quindi non c’è un’unica “ricetta”?
«Infatti. Dire “basta togliere la ghiaia” o “basta alzare gli argini” è riduttivo. Non è scientifico. E lo stesso vale per la vegetazione: per certi affluenti, come il Versa o lo Judrio, ce n’è troppa, ma per l’Isonzo il discorso è residuale. Dal confine con la Slovenia in giù, però, non ci sono possibilità di regolare il flusso e in situazioni come quella dell’estate 2022 diventa un problema. I rapporti transfrontalieri dovrebbero però garantire i flussi minimi d’acqua».
I nuovi invasi permetterebbero di gestire autonomamente i flussi d’acqua nei momenti di secca. Però quali criticità potrebbero creare?
Dal punto di vista geologico le sponde devono essere controllate in modo approfondito sia per gli sbarramenti, sia per regolare il sali-scendi dell’acqua nell’invaso là dove non c’è calcare ma flysch...»
...questo per evitare un “effetto Vajont”?
«Semplificando, sì».
Però nel caso dell’Isonzo si parla di traverse di 2 metri...
«La realizzazione delle traverse va in ogni caso studiata approfonditamente sia per valutarne l’idraulica, sia per valutarne la permeabilità dei materiali. E va considerato anche l’aspetto della pericolosità sismica del territorio. Si tratta di cose molto complesse che possono però essere affrontate considerando tutti glia spetti descritti».
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