John McLaughlin a Pordenone «Suono tra il jazz e l’India»

PORDENONE. «È chiaro che il pubblico di oggi ha molta più familiarità con la musica e con gli strumenti provenienti da altre culture, ed è forse questo è il motivo per cui Shakti in questo tour sta riscuotendo un successo senza precedenti». Di certo, John McLaughlin alla sempre maggior attenzione per la musica orientale, e indiana in particolare, ha contribuito in maniera determinante. E non da oggi. Sarà in concerto con i suoi “Remember Shakti” domani al teatro Verdi di Pordenone alle 20.45 per l’anteprima de “Il volo del jazz”, rassegna organizzata dal circolo Controtempo.
McLaughlin, da dove nasce la sua passione per quella musica?
«Per me è un mistero. Tuttavia, la mia passione per l'Oriente è reale fin da quando l'ho scoperto negli anni ‘60. Ci sono alcuni elementi della cultura indiana che mi hanno attirato fin dall'inizio. Questi elementi sono l'aspetto metafisico, “spirituale” dell' India e il fatto che la musica indiana del Nord e del Sud hanno integrato tutte le dimensioni dell'essere umano nelle loro cultura musicale. Infine, posso anche dire che c’è molto terreno comune tra jazz e musica indiana. Non è un caso che il figlio di John Coltrane si chiama Ravi (deriva da Ravi Shankar)».
Può raccontare le sue esperienze di “Shakti” e “Remember Shakti”?
«Shakti è un gruppo di musicisti che fin dall’inizio, nel ’73, suonano insieme per amore: amore per l'altro, ammirazione, profondo affetto. Anche la musica di Shakti possiede tali connotazioni. Tra il 1984 e il 1997, il gruppo non ha suonato più, per due motivi: il percussionista T.H. Vinayakram, ha dovuto sostituire il padre a capo della loro scuola di musica, a Chennai, e il violinista L. Shankar preferiva collaborare con musicisti pop, piuttosto che con musicisti jazz. Dal 1997 l’unico componente rimasto del gruppo originario è, oltre a me, il maestro di tabla Zakir Husaain. Tuttavia, abbiamo la grande fortuna di avere nel gruppo dal 1997 il mandolino di U. Shrinivas e le percussioni di Selvaganesh Vinayakram. Inoltre Shankar Mahadevan, il vocalist, è un componente del gruppo dal 2000. Posso quindi dire che lo “spirito” di Shakti è ancora meraviglioso e intatto».
Può ricordare anche l’esperienza con la Mahavishnu Orchestra?
«La Mahavishnu Orchestra è stata un'idea che ha avuto inizio alla fine degli anni ‘60. Non era un’ idea per fare “jazz-rock”. Da adolescente non ascoltavo solo Miles Davis, John Coltrane e altri grandi del jazz, ma anche Elvis Presley, Mississippi Blues e Rhythm and Blues. A metà degli anni ‘60 viaggiavo con LSD ascoltando i Beatles, così come B.B.King. La mia formazione musicale è stata quindi molto variegata. La Mahavishnu Orchestra nasce da tutte queste esperienze. Nel 1969 ho iniziato a suonare con il batterista Tony Williams nel gruppo Lifetime, e, naturalmente, con Miles Davis. Entrambi questi grandi artisti mi hanno incoraggiato a continuare a scrivere musica, e, a onor del vero, è stato proprio Miles, a suggerirmi, nel ‘70, di formare la mia band. Così, la Mahavishnu Orchestra è stata la mia risposta alla sua proposta. Tutte le varie incarnazioni di Mahavishnu erano meravigliose e per me un’esperienza fantastica».
Michael Brecker, Al Di Meola, Paco De Lucia, Miles Davis, Billy Cobham, Carlos Santana, Jean Luc-Ponty e tanti altri: qual è la collaborazione (o l’amicizia) che ricorda con particolare piacere?
«Sono tutti musicisti a me assai cari. Soprattutto Michael Brecker mi manca ancora molto. Di recente, poi, abbiamo perso un altro fratello musicista, George Duke: pure lui mi manca molto. E potrei aggiungere tanti altri nomi alla lista; ne faccio qualcuno: Chick Corea, Gonzalo Rubalcaba, Vinnie Colaiuta, Christian McBride, Kenny Garrett, i miei stessi musicisti, Étienne M’Bappé, Gary Husband e Ranjit Barot. L’elenco è lungo e non ho nemmeno incluso i miei amici indiani!»
Lei è nato nello stesso anno di Jimi Hendrix. Per lei cos’ha ha rappresentato?
«Jimi era una rivoluzione. È arrivato nel Regno Unito al momento in cui Eric Clapton stava facendo grande musica con il suo stile chitarristico. Jimi ha cambiato la chitarra elettrica, per sempre. Ho avuto la fortuna di incontrarlo un paio di volte prima di morire. E ho trovato che fosse molto semplice, senza pretese. Un bel ragazzo. Che peccato averlo perso…»
I suoi progetti?
«Non riesco a immaginare la fine del gruppo Shakti: quindi continueremo a incontrarci e speriamo in una registrazione in studio da qui a un anno. Un live di giugno, a Boston, della mia band “The 4th Dimension” uscirà a gennaio; faremo poi una grande tournée in Asia, nella primavera del 2014. Recentemente ho scritto un pezzo per violino solo e “sound design” che sarà registrato il prossimo anno».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo