La campagna in difesa di paludi e lagune

I soprintendenti regionali Fozzati e Azzollini evidenziano la necessità di tutelare le zone umide

Rappresentano dei veri e propri scrigni di biodiversità. Sono le cosiddette zone umide, quegli ambienti naturali caratterizzati dalla presenza di paludi, acquitrini, laghi, fiumi, torbiere, stagni, lagune, valli da pesca e litorali marini, le cui acque non superano i sei metri di profondità. La Giornata mondiale delle zone umide, istituita nel 2003 in occasione dell’Anno mondiale dell’Acqua indetto dalle Nazioni Unite, è stata festeggiata a Trieste con un incontro organizzato dalla Soprintendenza archeologica e da quella delle belle arti e del paesaggio del Friuli Venezia Giulia, presso il Salone piemontese di palazzo Economo. Nel corso dell’ultimo secolo il 64 per cento delle zone umide mondiali è scomparso, nonostante il 40 per cento della biodiversità, solamente nel nostro Paese, sia legato a questo genere di habitat. Una perdita, questa, che è dovuta essenzialmente alla pressione antropica che viene esercitata su queste aree, fino a non troppo tempo fa considerate di scarso valore ambientale e paesaggistico. «Le ragioni di questo scempio sono sostanzialmente due – spiega il soprintendente dei Beni archeologici regionali Luigi Fozzati - . In passato vi era la necessità di bonificare le aree umide perchè considerate insalubri, come avvenuto nel corso del Ventennio con il risanamento dell’Agro Pontino. Mentre è ancora di stretta attualità il bisogno da parte dell’uomo di allargare le aree urbane e rurali». Eppure questi ecosistemi sono importanti non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello archeologico.

Negli strati più profondi delle zone umide, oltre alla storia vegetale del territorio, si conservano anche le tracce delle palificate, che stanno a indicare la presenza di un antico insediamento umano. «Il rispetto di queste zone – sottolinea il soprintendente regionale alle belle arti e al paesaggio Corrado Azzollini – rientra a pieno titolo nella tutela paesaggistico-ambientale del territorio. Finalmente si è capita l’importanza di questo ecosistema e stiamo assistendo a un’inversione di tendenza».

Una vera e propria presa di coscienza, quella indicata dal soprintendente, che nel 1971 è stata anticipata dalla stipula della Convenzione internazionale di Ramsar, una cittadina iraniana affacciata sul Mar Caspio, con la quale viene definita la conservazione e la gestione di questi specifici ecosistemi. «Uno sviluppo economico che non consideri la protezione e la valorizzazione del territorio – afferma il biologo e membro di Legambiente Stefano Sponza – è obsoleto e perdente in partenza». Il Friuli Venezia Giulia, da questo punto di vista, è ancora una regione fortunata, perchè non ha conosciuto l’onda lunga dell’urbanizzazione selvaggia, anche se non mancano alcune stonature, come le attività di agricoltura intensiva che hanno azzerato la diversità della pianura di Fossalon e arginato lo sviluppo della laguna di Marano. (lu.sa.)

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