«La casta in Regione fa solo i suoi interessi»

Nel libro dell’avvocato Roberto Crucil una spietata analisi sulla politica lontana dalla gente, nell’era Illy come in quella Tondo
Lasorte Trieste 17/12/09 - Regione, Auto Blu
Lasorte Trieste 17/12/09 - Regione, Auto Blu

di PAOLO RUMIZ

Due anni fa, durante un viaggio per “Repubblica” alla ricerca del mito garibaldino, un grande imprenditore umbro di solidi principi morali mi disse che in Italia era in corso «una silenziosa ma implacabile guerra civile tra coloro che pagavano le tasse e quelli che invece le evadevano, e che per evaderle ancora erano pronti anche a precipitare il Paese nel caos».

Una guerra, disse ancora, «tra il lavoro, crocifisso da un’infinità di accaniti controlli fiscali-sanitari-burocratici, e la rendita di posizione che invece la faceva sempre franca».

In questi due anni la situazione è peggiorata, con la tempesta finanziaria e la debacle morale della tele-crazia, anche nel Friuli Venezia Giulia.

Non siamo affatto un’isola felice, alla faccia della specialità di statuto. E mentre si avvicina un Natale duro, durissimo, per tante famiglie del Nordest (crollano persino i consumi di pane), la combutta di “casta” tra i poteri ereditari della politica e dell’economia si rafforza e i privilegi di pochi aumentano.

La qualità della vita cala a precipizio e il sistema dei contributi a pioggia, in assenza di un’idea di Regione, si rafforza anziché mutare radicalmente.

Ma soprattutto si spalanca un abisso tra la politica e la quotidianità della vita.

Per capire cosa è accaduto negli ultimi anni in questa terra di frontiera prontissima al vittimismo e lenta nel cambiamento, consiglio la lettura di un libro corsaro a firma di Roberto Crucil, uomo dell’Avvocatura della Regione medesima, dunque un preziosissimo “insider” senza peli sulla lingua.

Il titolo è “Realtà al presente, la regione Friuli-Venezia Giulia”, editore Franco Rosso. Un libro che è l’esatto contrario dell’incitazione all’antipolitica, ma un’esortazione agli elettori (e soprattutto a coloro che pagano le tasse) a esercitare i loro diritti di controllo per evitare che questa nostra democrazia sia solo un giochino illusionistico.

«In quest’aula il novanta per cento degli eletti pensa solo al proprio personale interesse», mi ha detto recentemente un consigliere regionale in un momento di sconforto, e forse persino di autocritica, accasciandosi su una poltrona accanto alla buvette.

Mi è stato difficile dargli torto, ripensando ai livelli espressi dalla politica regionale negli anni di Adriano Biasutti, presidente che fu spazzato via dalle conventicole e dalle curie solo per avere osato pensare in grande e avere rivendicato il primato della politica sull’oligarchia economica che governa nei fatti il Friuli Venezia Giulia.

Oggi la politica esegue, non indirizza. «Nell’opinione pubblica – scrive Crucil – c’è l’idea diffusa che con istituzioni deboli e in un ambiente di regole opache è più facile scambiare intese tra imprese e gruppi di interesse, con il sostegno del partito di turno, alla clientele esistenti e alle ambizioni private».

E intanto la nostra piccola casta di periferia non molla i suoi privilegi: l’Autore ricorda per esempio che rimane sempre fuori dall’agenda politica la questione dei rimborsi elettorali che tra il 2009 e il 2011 sono stati di tre milioni 700 mila euro a favore dei partiti oggi seduti in consiglio regionale.

Nel 2013 la Regione farà mezzo secolo, ma lo statuto di autonomia – pur aggiornato dal consiglio sotto la presidenza Illy – giace dimenticato in Parlamento. «Salvare la specialità» è l’appello diffuso, specie ora di fronte alla scure del premier Monti, ma, scrive Crucil, «per governare in termini di efficienza i principi del federalismo e per essere capaci di dare risposte alle nuove domande che salgono dalla società, occorre prima di tutto adempiere al dovere costituzionale di darsi un nuovo statuto, per avere un significato moderno» delle specialità medesima.

Illy e Tondo sono letti come espressioni antitetiche, eppur simili in fondo, della distanza della politica dai problemi della gente. Nel primo, la difficoltà dell’entourage di mettersi in posizione dialettica con un Capo che nessuno osava contraddire.

Nel secondo la timidezza nel condannare l’uso troppo allegro delle auto blu o alcuni clamorosi conflitti d’interesse degli alleati in giunta. E così come il primo non ha avvertito il mormorio di scontento del popolo, il secondo rischia di trovarsi di fronte a uno scatenamento dell’antipolitica.

C’è, scrive l’autore, una grave anomalia fiscale nel Fvg: «su 18 miliardi di euro da redditi dichiarati, oltre nove arrivano dalle buste paga di lavoratori dipendenti (485 mila). Solo 694 milioni è il gettito 2009 dell’Irap versato dalle imprese private e pubbliche del Friuli-Venezia Giulia».

Mezzo milione di formiche alimentano con le loro tasse una minoranza senza avere una voce in capitolo proporzionale al loro contributo. Ed ecco che la classe politica di destra o di sinistra, per sopravvivere, ha assecondato le scelte degli imprenditori e anzi ha chiesto agli imprenditori di candidarsi direttamente.

Non interessa un progetto sociale con i valori della solidarietà corrispondente alla coscienza collettiva, e così la classe politica «prosegue nella sua convinzione che l’elettorato sia manipolabile... e va alla ricerca dell’élite della notorietà, cercando di far votare persone celebri di settori diversi, dalla cultura all’università, per mantenere in piedi un’aristocrazia camuffata da democrazia».

Il risultato è una «preoccupante asimmetria tra potere e autorità... in quanto i leader agiscono con legittimità, ma non ... godono della fiducia degli elettori».

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