La crisi nera del balletto

A Gorizia solo il Verdi, fra i tre teatri cittadini, presenta una stagione di balletto. Peraltro piuttosto ridotta, composta solo da tre spettacoli. È una testimonianza, questa, di uno dei problemi...

A Gorizia solo il Verdi, fra i tre teatri cittadini, presenta una stagione di balletto. Peraltro piuttosto ridotta, composta solo da tre spettacoli.

È una testimonianza, questa, di uno dei problemi che sta colpendo l’arte del nostro paese: la crisi delle compagnie di ballo.

Già negli anni Novanta del secolo scorso erano spariti diversi corpi di ballo, tuttavia negli ultimi anni questo fenomeno ha preso il sopravvento.

Il Regio di Torino, il Comunale di Bologna, la Fenice di Venezia, l’Arena di Verona e, nella nostra regione, il Verdi di Trieste, sono tutti teatri che si sono visti privare del proprio corpo di ballo e dunque sono impossibilitati a mettere in scena uno degli spettacoli più amati dagli italiani.

«La causa principale – dice Angelo Menolascina, ex ballerino e attuale insegnante di danza classica alla scuola “Tersicore città di Gorizia e Monfalcone” – è il taglio dei fondi operato dal Fondo Unico per lo Spettacolo. Questo provvedimento si è ripercosso sui corpi di ballo in quanto rappresentano un po’ l’anello debole del settore artistico di un teatro, gli elementi meno tutelati e quelli presenti in numero inferiore. Di conseguenza, scarseggiando i fondi e i corpi di ballo, vengono a mancare le nuove produzioni e le esibizioni dei ballerini stessi nei diversi teatri».

In Italia vere e proprie opere vengono ormai messe in scena solo dalla Scala di Milano e dal Teatro dell’Opera di Roma: per il resto ci sono solo spettacoli di compagnie itineranti, formate da pochi ballerini stabili e molti precari.

E tanti di questi, seppur meritando di lavorare da professionisti, terminata la tournée sono costretti a tornare a casa senza più un lavoro.

«Ciò che ha inoltre influito su questo fenomeno – sottolinea ancora Angelo Menolascina – sono i talent show che spesso confondono gli spettatori italiani, i quali, pur amando il balletto, sono poi portati a non distinguere la “danza della televisione” e il balletto eseguito da un corpo di ballo».

Ma allora qual è il modo migliore per far conoscere quest’ultimo, se non riportare le compagnie nei teatri?

I numerosi appelli, molti dei quali lanciati da importanti ballerini e coreografi (primo fra tutti Luciano Cannito, autore di una petizione online), dimostrano la viva speranza di ottenere una risposta da parte delle istituzioni, di riportare il balletto ai suoi tempi d’oro ma soprattutto di riportare la danza nei teatri italiani.

Gaia Gazzano

3A

Liceo classico “Dante Alighieri”



Riproduzione riservata © Il Piccolo