La lezione di vita di don Vatta a Trieste: «Un giorno il deserto finirà»
La presentazione, accompagnata dalla musica, dell’ultimo libro del sacerdote che raccoglie gli scritti della sua rubrica sul Piccolo: «È importante contaminare gli altri di speranza»

TRIESTE «Per custodirla, non dobbiamo perdere il contatto con la realtà. Anche quella che ci inquieta e che ci fa chiedere che cosa sta succedendo e cosa succederà». Si riferisce così, don Mario Vatta, alla speranza: il cuore del suo ultimo libro, presentato alla Casa della Musica. “Custodire la speranza – Un giorno il deserto finirà” (casa editrice Nuova Dimensione).
È il suo settimo libro, raccoglie gli articoli scritti negli ultimi due anni per la rubrica “Trieste, volti e storie” del Piccolo. Longeva è, infatti, la relazione di don Vatta con il giornale.
Iniziata 17 anni fa, si rinnova ogni 15 giorni. Il suo impegno ha portato a più di 430 articoli: il primo risale al 9 luglio 2006. Tra compostezza e vena umoristica, don Vatta riconosce nell’appuntamento con la rubrica un momento di grande concentrazione: le ispirazioni prendono vita da realtà, cittadini e fatti che gli accadono intorno. Le persone la fan spesso da protagoniste.

E a seconda delle occasioni prevalgono un’atmosfera, uno stato d’animo personale, progetti di vita. E capitano anche i sogni, sbrigiliati perché complessi. Non manca mai, poi, la speranza: un tema caro a don Mario, un mantra nei suoi scritti.
«È importante vivere la speranza e contaminare gli altri con questa convinzione, per non abbandonarci a violenze, ingiustizie, sopraffazioni»
E’ quanto sostiene con forza. Coltivare la speranza non significa, però, ignorare ciò che accade intorno, anzi.
«Provo un profondo dolore quando vediamo scene di guerra. Pensiamo ai bambini orfani tra le macerie, alla loro adolescenza guastata», continua. «Arrendersi non è la strada per affrontare le criticità del mondo. Bisogna custodire questo pianeta».
Speranza, utopia e pacifismo sono, a oggi, parole squalificate. Si decide di non resistere più in questi tempi difficili, si evita di scegliere e fare fatica, è difficile guardare al presente.
Un altro sguardo è sempre rivolto ai giovani, don Vatta parla di loro partendo da sé: un’adolescenza tra momenti di crisi e scelte coraggiose. E si distanzia con foga dalla retorica sugli adolescenti, racchiusa in frasi come “Sono il nostro futuro”.
«Perché non si parla mai del presente?». Diffidente verso la narrazione mediatica, don Mario vede nei giovani una fraternità ritrovata, manchevole negli ultimi 30 anni tra bambini e anziani. La dimensione trascendente è, poi, un’altra costante nel suo vissuto, esternata con vigore nel suo ultimo libro: «Dio e il suo figlio incarnato sono delle bussole per me, dei salvagenti a cui aggrapparmi», confida.
Vicina alla spiritualità, immancabile, è anche la passione per la musica, per il jazz. La BDBand accompagna, infatti, le sue letture dense di vitalità.
«Ho voglia di urlare la grande ingiustizia che si sta consumando nei confronti dei più deboli, gli irrimediabilmente fragili».
Don Mario parla a tutti e tutte, invita a mobilitarsi, a fare spazio a «un silenzio interiore per continuare a resistere, senza mai abbandonare le utopie». Guardandosi intorno, da Gaza all’Ucraina, non si possono rinnegare il dolore e l’angoscia collettiva, ma si deve pensare che «il male avrà una fine e un giorno il deserto finirà».
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