La libreria di Saba, amato antro oscuro
Elena Bizjak Vinci e Stelio Vinci raccontano gli anni trascorsi dal poeta tra i volumi rari
Non sapeva dire quanto amasse quel posto, Umberto Saba. Anzi, ogni volta che il poeta del «Canzoniere» faceva cenno alla Libreria di via San Nicolò, i vezzeggiativi sparivano dal suo vocabolario. Come per effetto di un terribile incantesimo. Lasciando il posto a sinonimi molto colti, ma formali: «antro oscuro», «antro funesto». O al massimo, quando andava proprio bene, «bottega». E che Saba amasse quell’antro oscuro, quelle vecchie stanze strapiene di libri poste nel cuore di Trieste, è certo. Basti pensare che moltissime poesie del «Canzoniere» hanno preso forma in via San Nicolò. «Cose leggere e vaganti», «L’amorosa spina», «Canzonette» e anche «Fanciulle» contengono piccoli racconti in versi dedicati a quelle lunghe ore trascorse in mezzo a cataste di vecchie pagine, di edizioni rare, di testi in varie lingue. Eppure, a volte, il rapporto tra Umberto Poli, in arte Saba, e la Libreria Antica e Moderna di via San Nicolò è stato sottovalutato. Trascurato. Spesso minimizzato. Senza tenere conto che il poeta, anche negli anni terribili del fascismo, anche quando ormai sugli ebrei italiani incombevano le leggi razziali, non ha mai smesso di pensare al suo «antro oscuro».
Non ha mai interrotto la sua ricerca di testi rari, di libri preziosi da proporre, poi, a una clientela di persone raffinate e affezionate. Adesso, però, quella lacuna viene colmata da un libro scritto a quattro mani da Elena Bizjak Vinci e Stelio Vinci: «La libreria del poeta, scritto con il contributo di Marco Menato e Nicoletta Trotta, accompagnato da alcuni disegni di Mario Padovan e Elsa Gant e pubblicato da Hammerle Editori (pagg, 95, euro 15). Il volume verrà presentato lunedì, alle 11,30, alla Libreria «Umberto Saba»: parleranno Fulvio Senardi, l’editore Claudio H. Martelli e gli autori. Certo, fu il Caso a mettere Umberto Saba nelle condizioni di diventare un libraio. Lui che bibliofilo non era e che, oltretutto, non se la passava troppo bene dal punto di vista economico. Ma proprio in quel periodo, subito dopo la prima guerra mondiale, il poeta si trovò a poter contare su un piccolo capitale che gli arrivava dall’eredità della zia. Nel 1919 la Libreria di via San Nicolò 30 era stata messa in vendita da Giuseppe Mayländer, croato di nascita, approdato a Trieste nel 1904, che a sua volta l’aveva acquistata da Max Quidde. Meritevole di aver trasformato la filiale delle Librerie Schimpff in una prestigiosa, seppur piccola, sezione antiquaria. Non si era imbarcato da solo in quell’avventura, Saba.
Accanto a lui, all’inizio, aveva due delle menti più vulcaniche della Trieste d’inizio Novecento: il filosofo Giorgio Fano, futuro autore di importanti saggi ma anche di apprezzati racconti per ragazzi pubblicati dal «Corriere dei Piccoli», e Guido Voghera, il papà di Giorgio, a cui sarebbe stato in seguito attribuito il romanzo «Il segreto» con lo pseudonimo di Anonimo Triestino. All’inizio degli anni Trenta, il poeta avrebbe coinvolto nella sua avventura, come socio al cinquanta per cento, Alberto Stock. Il nipote di quel Lionello Stock che aveva fondato a Trieste la nota ditta di liquori. E non poteva mancare il contributo di Virgilio Giotti, grande amico dell’autore del «Canzoniere», oltre che poeta di gran livello in dialetto. Fu lui a disegnare il primo logo della Libreria Antica e Moderna. In quella via San Nicolò dov’era andato ad abitare per un periodo anche lo scrittore irlandese James Joyce, accanto alla Berlitz School, e che agli inizi del Novecento era un’arteria strategica nella vita economica e culturale di Trieste, «la libreria permetteva al signor Poli e famiglia di vivere dignitosamente e questo era già molto - scrivono gli autori -, ma era necessaria una valida continuità degli affari e ciò richiedeva una certa fatica, richiedeva contatti frequenti con altri colleghi italiani e stranieri perchè il tutto si concentrava in una assidua ricerca di libri che potessero soddisfare una clientela che col passare del tempo divenica sempre più numerosa e sempre più sofisticata».
Così, in gran fretta, Saba imparò a riunire in sé, come per effetto di una strana alchimia, lo psicologo, il commerciante e il diplomatico. Capace di soddisfare clienti esigenti e diversissimi come il medico ebreo Bruno Pincherle, gran conoscitore di Stendhal e fiero antifascista, e il podestà fascista Cesare Pagnini. Ma abile anche a convivere con una serie di commesse che, di certo, non erano in grado di aiutarlo molto. Ragazze graziose, come la Paolina con gli occhi di sogno o la Chiaretta, che poi era Giulia Morpurgo. O, ancora, le due sorelle Margherita e Malvina, che nel 1922 si tolsero la vita a due mesi di distanza l’una dall’altra. Travolte, pare, dal male di vivere. Fanciulle che, comunque, lasciarono un segno nel cuore e nei versi del poeta. Poi arrivò Carlo Cerne. Il «buon Carletto», che avrebbe affiancato Saba definitivamente nella conduzione della libreria. Ma arrivarono anche gli anni difficili. Quelli in cui il poeta temeva di essere travolto, insieme alla sua famiglia, dalla persecuzione del regime fascista contro gli ebrei. Anni in cui lui e Stock preferirono cedere le loro quote di proprietà allo stesso Cerne e a Ettore Ferrari prima, a Gregorio Bisia, amico del pittore Dyalma Stultus, poi. Ma il poeta non smetterà mai di cercare libri in giro per l’Italia, a Parigi, da vendere ai suoi clienti. Tanto che nel 1947, quando potrà ritornare al suo «antro oscuro», sarà per lui come ritrovare un frammento della sua anima. Perchè come aveva scritto Aldo Palazzeschi, dopo aver incontrato il poeta a Parigi nel 1938, «Saba ne peut vivre loin de Trieste. Il marche infatigablement dand les rues de Paris sans rien voir, sa pensée uniquement tournée vers l’Italie». E in mezzo a quei pensieri legati all’Italia, a Trieste, c’era ovviamente la sua libreria. Il suo amato, rinnegato antro oscuro.
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