La maggioranza Fvg non trova l’intesa: fumata nera sul referendum
Stallo nel centrodestra sul pressing leghista per modificare la legge elettorale in chiave antiproporzionale. Oggi vertice bis

TRIESTE Niente da fare nemmeno ieri pomeriggio in un altro vertice di maggioranza, l’ennesimo, che si conclude senza intesa. Il centrodestra rimanda dunque a stamattina, all’ultimo momento utile, la scelta se votare oppure no in Consiglio regionale (serve il via libera di cinque assemblee regionali per arrivare al referendum abrogativo di una parte del Rosatellum) per una legge elettorale nazionale maggioritaria e non più anche proporzionale. Come finirà? Secondo alcuni con un montanelliano “turiamoci il naso” sull'indicazione leghista, ma le perplessità della vigilia non sono tramontate, anzi.
«Il presidente? Tranquillo, ma risoluto». Il clima, raccontano i presenti, è quello di una coalizione che non cerca guai, ma non riesce neppure a fare sintesi. E dunque tocca a Massimiliano Fedriga, senza alzare i toni, insistere perché il Fvg targato Lega dia un segnale salviniano al governo giallorosso. La partita è pero appunto molto nazionale. E dunque, pure ieri, Forza Italia è rimasta in attesa di capire la linea del partito nelle altre regioni del Nord, un passaggio legato evidentemente alle prove di ricucitura tra Salvini e Berlusconi, nella prospettiva di una nuova stagione di unità per il centrodestra. «Comprendiamo che si debba mettere in campo una proposta elettorale che garantisca governabilità - osserva il capogruppo azzurro Giuseppe Nicoli -, ma sarà anche necessario prevedere alcuni correttivi a un sistema che non può essere interamente maggioritario». Più vicini o più lontani all’accordo? «Le distanze non sono cambiate più di tanto - prosegue Nicoli –, ma la Lega ha chiarito alcuni aspetti in precedenza abbastanza oscuri. Il presidente Fedriga, in particolare, ha dimostrato la volontà di comprendere le esigenze di tutti. L’unità del centrodestra rimane un dogma».
Una comprensione che è anche delle difficoltà per Fi di fare una scelta in assenza di una linea definita a livello nazionale. «L’approfondimento su quello che accade nelle altre regioni è necessario - dice il capogruppo leghista Mauro Bordin -, ed è legittimo che ognuno faccia le sue riflessioni. Contiamo di arrivare a una sintesi in tempo utile. Domani (oggi per chi legge) ci rivediamo e decidiamo».
Anche Progetto Fvg insiste sull’opportunità di non rompere. «Il nodo politico non è facile, ma il nostro buon rapporto personale con il governatore è fuori discussione», dichiara il coordinatore di Progetto Fvg Saro. Ma pure i civici ribadiscono i loro dubbi: «Siamo contrari all’uninominale secco. Del resto, tutti i tentativi di arrivare al maggioritario puro sono falliti in assenza di bipolarismo. La stabilità è conseguenza di un equilibrio nelle relazioni tra i partiti, non di una legge elettorale. Comprendo la tattica di voler mettere in difficoltà la maggioranza nazionale, ma la via del referendum non ci convince».
Con la Lega, che punta a chiedere la procedura d’urgenza e che deve mettere in fila almeno 21 voti per spuntarla, c’è dunque solo Fratelli d’Italia, con ritrovata convinzione dopo le titubanze della scorsa settimana una volta incassato il via libera di Giorgia Meloni. «Il maggioritario impone un rapporto quasi fiduciario che va oltre i partiti, consente di sapere subito chi ha vinto le elezioni, fa durare di più i governi», sottolinea Walter Rizzetto. Ma siamo al “do ut des” se il segretario regionale dei patrioti aggiunge: «Ci attendiamo lo stesso tipo di trattamento quando proporremo un’iniziativa forte per l’elezione diretta del Capo dello Stato». Sovranisti e moderati ci riprovano oggi. Da un lato l’attenzione a non farsi del male, dall’altro la difesa dei rispettivi interessi. —
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