La mimosa calpestata: in aula storie di donne picchiate e umiliate

Domenica 8 marzo festa della donna. Così ieri, 3 marzo, nell’aula udienze al piano terra del Tribunale a Gorizia.
Prima storia. «Sono una cittadina straniera, con mio marito R. andava tutto bene. Abbiamo un figlio. Ma a un certo punto mio marito ha cominciato ad avere problemi di lavoro. Era molto avvilito e ha cominciato a bere. Si ubriacava spesso e quando beveva diventava manesco. Ho resistito quanto ho potuto perché non volevo separarmi. Ma una sera al culmine di una lite nella cucina di casa lui mi ha rotto un dito della mano. Era ubriaco, urlava minacce, voleva a tutti i costi strapparmi il telefono cellulare che stringevo nella mano. Mi ha fatto molto male e sono scappata da sola, a piedi, alla caserma Massarelli della polizia. Abitiamo lì vicino. Sono tornata a casa accompagnato dagli agenti. L’hanno denunciato. È stato costretto ad andare via da casa. Eravamo terrorizzati io, mio figlio e mia madre che ha assistito alla lite».
Chiede la giudice Clocchiatti: «Lei ora è separata?». «No, siamo tornati a vivere assieme. Ho accettato di farlo per il bene di mio figlio».
Seconda storia: «Sono una cittadina straniera ma da diversi anni abito a Gorizia. Mi sono sposata nel 1997, ero già madre di un ragazzo che oggi ha 17 anni. Con il mio nuovo marito ho avuto altri due figli. Andava tutto bene in famiglia ma dopo alcuni anni di matrimonio mio marito ha cominciato a frequentare brutte compagnie. Usciva spesso e tornava a casa ubriaco. Quando non usciva era calmo e tranquillo, ma quando era ubriaco diventava violento. Mi ha spesso picchiato selvaggiamente ma non l’ho mai denunciato. Però ha cominciato prima a insultare e poi a picchiare il mio primo figlio che all’epoca frequentava la scuola media. Era terrorizzato, ma anche i suoi fratelli tremavano quando tornava a casa ubriaco e urlava. Non ho mai raccontato a nessuno quello che succedeva in casa mia, non volevo perdere mio marito, speravo che prima o dopo smettesse di bere e tornasse quello di prima. Ma una sera era particolarmente scatenato. Mio figlio grande aveva preso un brutto voto a scuola e lui non ci ha visto più. Si è sfilato la cintura dei pantaloni e ha cominciato a frustarlo sulla schiena. Mio figlio si riparava la parte bassa della schiena con le mani ma un colpo più violento degli altri gli ha rotto il polso. In casa c’erano suo fratello e il fratello del mio primo marito. Hanno cercato di calmarlo ma lui ha minacciato pure loro. Ho accompagnato mio figlio al Pronto soccorso e ho spiegato quanto era successo. Solo dopo ho saputo che mio figlio si era confidato con una professoressa a scuola. Era un periodo che era particolarmente nervoso e litigava con i compagni di classe. Così i professori gli hanno parlato e lui ha raccontato cosa stava subendo. Mi hanno convocato a scuola ma ho cercato di tagliare corto. Non ho mai denunciato mio marito per le violenze che procurava a me a mio figlio. Un giorno gli aveva fatto male a una gamba sferrandogli un calcio, ma al Pronto soccorso ho raccontato che era caduto. Non poteva più andare avanti così. Ci siamo separati e nel febbraio del 2012 le autorità gli hanno intimato di andare via da casa mia. Ma tornava spesso a minacciarmi. Urlava e picchiava sulla porta. Una volta è entrato e con un pugno ha rotto il vetro della cucina. Ho chiamato i carabinieri e da quella volta non è più tornato».
Alle deposizioni seguono gli interrogatori delle parti, pubblico ministero e avvocati difensori. Brutta mattinata, crediamo, per una giudice.
Gli imputati non sono in aula.
Prima di essere chiamate a testimoniare le due donne attendono sedute sulle sedie del corridoio. Sono a poca distanza l’una dall’altra.
L’una si perde nella tastiera di un cellulare, l’altra ha gli occhi gonfi e si nasconde dentro a un giubbotto nero con i bottoni stretti sino al collo. Le due facce di una mimosa calpestata.
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