La Nazionale mondiale è Down
C’è una squadra che, anche quando perde, riesce comunque a vincere

Foto BRUNI 25.11.2017 Nazionale di calcio a 5 Fisdir
I ragazzi azzurri si allenano a Trieste
TRIESTE. C’è una Nazionale di calcio che, anche quando perde - e capita di rado - riesce comunque a vincere. Una Nazionale che in copertina non finisce proprio mai e nemmeno sui poster nelle stanze dei ragazzini. Una Nazionale senza divi nè procuratori, senza pretese nè vezzi, dove l’unico strappo alla regola alla fine di una giornata di allenamenti è una polpetta in più a cena. Una Nazionale senza compagne da rotocalchi o passerelle, dove la condivisione di un amore comincia semplicemente con lo scambio di un sorriso. Una Nazionale che fa grandi sogni perchè è essa stessa un sogno realizzato. Infine, è una Nazionale che ai suoi Mondiali ci è andata. E li ha pure vinti.

Foto BRUNI 25.11.2017 Nazionale di calcio a 5 Fisdir
Luca, Enrico, i due Marco, Simone, Francesco, Riccardo, Davide. Sono ragazzi speciali. Sono i giocatori dell’Italia di calcio a cinque per persone con la sindrome di Down. In questo fine settimana si sono fermati a Trieste per due giorni di allenamento nella palestra della Biagio Marin. Un’ora e mezzo al mattino, due al pomeriggio. Perchè dopo i Mondiali c’è da pensare ai prossimi Europei e lo staff tecnico visiona gli elementi buoni per l’azzurro. Il commissario tecnico qui non si chiama ct (Gianluca Oldani) ed è pure una persona di buon senso. Il referente tecnico federale (Roberto Signoretto) non veste in giacca e cravatta, non pretende il lei nè lussuosi uffici di rappresentanza eppure potrebbe dare lezioni di stile e rispetto a chi ha ridotto l’altro calcio, quello dei normodati, a una vergogna nazionale. Altra federazione, si dirà. Questa è la Fisdir, fa sport per soggetti con disabilità intellettivo relazionale.
I giocatori della Nazionale campione del mondo arrivano da Milano, Pescara, Roma, dal Veneto, dalla Sicilia. Il Friuli Venezia ancora non c’è. «Sappiamo che qui è forte la sensibilità verso lo sport per disabili e sarebbe bello se anche Trieste potesse un giorno partecipare al nostro campionato», dicono Oldani e Signoretti. Sarebbe bello sì, e magari ci si arriva. Marco è di Milano, gioca laterale e quando non gioca lavora come barista, fa teatro e vuole scrivere un libro. È il più altruista in campo. Anche troppo, dicono i responsabili tecnici. «Ha un cuore grande così. Lo avevano invitato a un evento con ragazze non vedenti. Gli accompagnatori normodotati si erano limitati ad accompagnarle verso il punto delle premiazioni ed erano tornati al loro posto. Marco è stato l’unico con la sensibilità di attendere e riaccompagnare l’ospite».
Il capitano e leader della squadra è Carmelo, siciliano, gioca punta ma a Trieste non c’è. Quando parla lui, non vola una mosca. Riccardo, padovano, ha la tecnica ma lo frega la timidezza. «Prima della finale iridata contro il Portogallo gli ho dato un solo consiglio - confida l’allenatore Oldani - “Gioca con il sorriso”». Riccardo ha sciolto la timidezza in un sorriso. E ha segnato tre gol. Hombre del partido, direbbero quelli bravi. Simone è scaltro in campo e fuori. Vorrebbe dribblare il menu della Repubblica dei Ragazzi (dove la Nazionale è ospitata mentre il Cest ha messo a disposizione due pullmini), come fosse un avversario e prova a barattare in cambio di un panino in più una confidenza sul conciliabolo in corso tra i compagni. «Ma va là, “Buscetta”, - fa il ct che non si chiama ct - non abbuffarti, che domani dovete allenarvi ancora...»
Le regole sono regole. Ogni sport si fa sul serio. «Vogliamo dare una possibilità sportiva a questi ragazzi. Di nostro mettiamo la passione, l’esperienza nel volontariato, il piacere di sentirsi utili - racconta Oldani - Con i giocatori abbiamo un rapporto schietto, diretto. Sarebbe un errore concedere tutto in nome di un falso pietismo perchè sono disabili. Le famiglie, generalmente, comprendono. E i ragazzi apprezzano questo atteggiamento. Noi proviamo a dare loro regole e consigli tecnici. Il resto lo mettono loro. Dandoci lezioni. Li ho visti abbracciare gli avversari del Messico dopo averli battuti, li ho visti festeggiare chi li aveva appena sconfitti. Contro il Sudafrica li ho visti andare in porta con tre-tocchi-tre. Giocavano a memoria. Una sinfonia. Ho pensato: “Posso alzarmi dalla panchina e andare via. Mai e poi mai questi ragazzi perderanno la finale mondiale”». E stavolta anche la voce del ct che non si chiama ct si incrina.
Faccia un respiro, ct. «Ai giocatori concedo di usare il cellulare una sola ora al giorno ma mi rendo conto che per loro un selfie o un messaggino significano davvero socializzare». Demolita una barriera, ce ne sono altre da abbattere. Il sogno è suggestivo. Vedere i grandi club della serie A - che dopo prime squadre e giovanili finalmente solo ora hanno varato le squadre femminili - allargare il loro raggio d’azione anche a questo calcio. Non sarà facile. Ma ai campioni del Mondo la tenacia non manca.
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