La resa della Redox Chiesto il fallimento

Chiesto il fallimento per l’azienda Redox che, alla fine dell’anno scorso aveva visto la fabbrica di San Dorligo della Valle occupata per un mese dai dipendenti, durante una delicata fase di passaggio con l’affitto alla società londinese V.A. Crane. La realtà che operava nell’ambito dell’indotto della Wärtsilä, specializzata nella riparazione e manutenzione di macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione non circolanti su strada, è ora arrivata sulla via di non ritorno. È stato chiesto appunto il suo fallimento. L’azione è partita da alcuni ex dipendenti. L’amministratore unico Antonello Ivaldi, classe ’69, non risulta reperibile. Né il curatore fallimentare, il commercialista Mario Giamporcaro, è ancora in possesso della documentazione contabile. Motivo per cui, al momento, non si è a conoscenza dell’ammontare totale del debito. Quel che è sicuro è che la società non è proprietaria di beni immobili e al momento del fallimento solo un dipendente era presente all’interno della Redox: è stato licenziato. L’udienza per l’esame dello stato passivo davanti al giudice delegato Riccardo Merluzzi si terrà il prossimo 11 ottobre. Alcuni degli ex dipendenti, che avevano chiuso il rapporto ancor prima della vera e propria crisi dell’azienda, e i colletti blu passati in V.A. Crane si sono mobilitati per una domanda d’insinuazione al passivo fallimentare con un unico legale. Sono circa una decina al momento. Il credito corrispondeva all’incirca a 100 mila euro, tra paghe arretrate, tfr, tredicesime.
«I lavoratori stanno legittimamente chiedendo il conto alla dirigenza Redox, ad Antonello Ivaldi in particolare – commenta Sasha Colautti di Usb Industria che aveva seguito dall’inizio alla fine l’intera vicenda –, che ha trascinato le maestranze in un girone infernale durato anni e culminato nella vertenza che ha portato poi al passaggio in V.A. Crane». L’azienda, infatti, ricorda Colautti, aveva 65 dipendenti nel 2010. Di questi, negli anni, ne era rimasta una quindicina che, esasperata per la mancanza di risposte alle richieste da parte della controparte datrice di lavoro, aveva deciso di passare all’azione, prendendo possesso della sede di via di Muggia lo scorso novembre. Ai lavoratori era stato proposto un affitto d’azienda, che prevedeva la diminuzione degli stipendi, la rinuncia al contratto a tempo indeterminato per accettarne invece uno modello Jobs act, lasciando inoltre al nuovo imprenditore, la V.A. Crane, azienda con sede a Londra e una filiale in Italia, il tfr. E inoltre si era venuti a conoscenza che proprio il vecchio proprietario, Ivaldi, aveva delle quote nella nuova V.A. Crane. «Nelle more del passaggio poi – spiega Colautti – aveva ritirato il suo potere nei confronti della nuova azienda». Infatti l’amministratore delegato oggi è Marcello Marangoni.
Redox group srl non è però l’unica azienda triestina che ha dovuto portare i libri in Tribunale in questo periodo. Ce ne sono altre tre. La Phoenix9 Sas ha chiuso i battenti: è la ditta che fa capo a Davide Paulin, uno dei due ex dipendenti delle ex Coop operaie divenuti imprenditori acquisendo tre punti vendita ciascuno. A Prosecco, San Giacomo e in via Vergerio: «Non è stato facile portare avanti i supermercati, da una parte a causa degli strascichi del crac delle ex Cooperative, che hanno influito sull’andamento e il fatturato – spiega Paulin –, e poi ci sono state tante difficoltà». Il debito è «abbastanza importante». «Ora – conclude Paulin, che all’inizio aveva 20 dipendenti – il curatore fallimentare quantificherà il credito che spetta ai fornitori, metterò a disposizione quello che ho. C’erano tanti sogni e progetti». Restano in piedi invece due dei tre market che aveva aperto l’altro ex dipendente, Alessandro Giotti. «Con molte difficoltà, nonostante la burocrazia italiana – afferma –, stiamo tenendo duro con i punti vendita Nuovacoop Trieste in viale Campi Elisi e in via Flavia, abbiamo chiuso invece ad Altura. Avevamo dieci dipendenti, ora siamo mia moglie e io come soci e altre due persone».
E ancora, hanno alzato bandiera bianca la Gmaster srl in liquidazione (curatore fallimentare Emilio Ressani, giudice delegato Riccardo Merluzzi), specializzata in commercio all’ingrosso di apparecchiature elettroniche per telecomunicazioni e componenti elettronici, con sede in via San Nicolò 10, e la Carmax srl (curatore fallimentare Matteo Montesano, giudice delegato Daniele Venier), ubicata in via Rossini 10, che si occupava di commercio all’ingrosso non specializzato di prodotti alimentari, bevande e tabacco. Le udienze per l’esame dello stato passivo si terranno entrambe a ottobre.
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