La Serbia si scopre sull’orlo del default

Disoccupazione, inflazione e nuovi poveri in crescita. Ma il rapporto fra debito pubblico e Pil lasciano margini di recupero

BELGRADO. Disoccupazione (25%) e inflazione in crescita (6% annuo a giugno), nuovi poveri che ingrossano le file di quelli di lungo corso. Perfino un paventato rischio bancarotta per il Paese balcanico. La Serbia sembra essere in bilico tra le rassicurazioni da parte della classe politica, che garantisce che tutto o quasi procede per il verso giusto. E indicatori economici che dipingono un quadro ben diverso.

Cosa sta succedendo a Belgrado? La Serbia «ha davanti una dura realtà, fatta di un deficit di bilancio in aumento, economia in declino e moneta sostanzialmente deprezzata», ha scritto di recente il Financial Times. FT che non vede altra soluzione per Belgrado che quella «di rivolgersi all’Fmi» per un prestito salva-conti pubblici. Fmi che arriverà in missione in Serbia a settembre per negoziare una nuova linea di credito. Un nuovo prestito, un segnale che un Paese entra in una fase «di bancarotta» perché non può onorare i debiti, ha rincarato Vladimir Gligorov, economista al Vienna Institute for International Economic Studies.

Che qualcosa non funzioni al meglio, in Serbia, lo dimostrano le parole del neo-ministro dell’Economia e delle Finanze, Mladjan Dinkic, a proposito dell’investimento Fiat in Serbia. «Alla Fiat chiediamo comprensione perché il governo serbo, nel 2012, potrebbe non essere in grado di soddisfare tutti gli obblighi finanziari contratti col Lingotto a causa delle restrizioni nel budget statale».

Indizi non positivi, insomma. Ma cosa devono aspettarsi i serbi nel prossimo futuro? Belgrado ha sperimentato «un calo del Pil nella prima metà dell’anno pari all’1% rispetto allo stesso periodo del 2011. È ragionevole attendersi, anche con un debole miglioramento a fine 2012, un -0,5/1% del Pil» annuo, spiega via email l’economista Goran Nikolic. Pure «la produzione industriale conoscerà un declino del 2%», aggiunge. «I movimenti dei maggiori indicatori dell’economia reale in Serbia dipendono dalle tendenze nell’Eurozona, che ora non sono promettenti», specifica poi, «in particolare dal calo del Pil» nell’Ue. Per Belgrado, infatti, è importante tenere conto della «domanda di importazioni e del flusso di capitali, come gli investimenti stranieri, che arrivano principalmente dall’Eurozona e da Paesi candidati» all’ingresso nell’Ue.

E il “rischio bancarotta”, è concreto? Ci sono due facce della medaglia, spiega al Piccolo Jasna Atanasijevic, capo-economista alla Hypo Alpe-Adria in Serbia. «C’è un alto e in aumento deficit fiscale, che si spera ora venga contenuto e ridotto, ma allo stesso tempo non può essere eliminato rapidamente», spiega. «Quando non si può cancellarlo», lo Stato è obbligato «a vendere proprietà o a fare nuovi debiti. L’indebitamento in Serbia è a un livello allarmante dato che ha raggiunto il 50% del Pil», aggiunge. «Con gli alti tassi d’interesse con cui la Serbia s’indebita e con le povere prospettive economiche di crescita dell’economia reale», specifica Atanasijevic, «il deficit fiscale rimarrà sotto pressione e i bisogni finanziari del Paese cresceranno, poiché è necessario in ogni momento rifinanziare i debiti in maturazione con nuovi debiti».

Ma c’è anche un altro aspetto. Che fa ben sperare. «La Serbia ha un rapporto debito pubblico/Pil moderato» rispetto ad altri Paesi, come l’Italia. «E grazie al basso Pil pro capite ci sono ancora ampie opportunità di migliorare la produttività e di raggiungere una crescita economica basata su piccoli investimenti, sia in termini relativi sia assoluti», prospetta Atanasijevic. In termini generali, l’allarme suona dunque «un po’ esagerato», conclude. «Nondimeno, non va negato che servano subito riforme per ribilanciare la struttura economica nel medio termine, in un modo che si riduca il deficit fiscale e commerciale e di conseguenza la dipendenza dal debito con l’estero». Riforme che arriveranno in tempi brevi, la promessa ricorrente della classe dirigente serba. Un impegno che, viste le premesse, va mantenuto al più presto.

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