La Slovenia celebra Borojevic il generale “nemico” dell’Italia

Eretta lapide ai piede del San Gabriele dedicata al “Leone dell’Isonzo” che difese Gorizia dagli assalti del Regio esercito nelle undici battaglie
Di Roberto Covaz

Sulla sella tra il Monte Santo e il San Gabriele in direzione Loqua, in comune di Nova Gorica, è stato inaugurato nei giorni scorsi un monumento dedicato al generale Svetozar Borojevic von Bojna, detto il “Leone dell’Isonzo”, comandante della 5a armata Austroungarica durante la Prima guerra mondiale: il nemico numero uno del Regio esercito italiano. Nel centenario della Grande guerra, asseritamente dedicato alla riflessione comune nella “casa europea” sulla tragicità dei conflitti, che significato attribuire all’iniziativa? È un elemento di ulteriore distinzione tra “vinti” e “vincitori”? C’è il rischio che simili iniziative (in questo caso di un’associazione culturale che ha ottenuto il patrocinio del Comune di Nova Gorica e della Repubblica di Slovenia) rinvigoriscano mai sopiti nazionalismi?

Abbiamo girato questi interrogativi a storici e promotori culturali.

Marco Mantini. «Va proposta una riflessione su due livelli. Da una parte c’è l’esigenza di una repubblica giovane come la Slovenia di recuperare in campo storico il proprio patrimonio materiale e immateriale da cui trae origine lo stato. Non a caso la Slovenia ha improntato il centenario con questo obiettivo. L’altro livello è più immediato. Non nascondo che in Italia l’iniziativa ha suscitato polemiche, ma considererei il fatto che il monumento a Borojevic è il giusto riconoscimento a un condottiero, un personaggio che incarna l’essenza di tutte le popolazioni che hanno servito l’Impero: era un croato di etnia serba e cittadino magiaro. Non ci vedo assolutamente nessun affronto agli italiani».

Dario Stasi. «Il monumento a Borojevic è un atto legittimo, anche se in chi organizza queste iniziative affiora sempre un determinato orientamento. Prima dell’indipendenza, l’argomento Prima guerra mondiale era tabù nella Slovenia della Repubblica federativa jugoslava. Logico e comprensibile che oggi gli sloveni recuperino la loro storia. Piuttosto, perché non ricollocare al suo posto la lapide che ricorda la visita di Francesco Giuseppe a Gorizia nel 1900?».

Lucio Fabi. «È un atto che non capisco. Così si rende impossibile, nel nostro territorio ex Friuli austriaco, la comune comprensione degli eventi storici. Ci vedo più che una punta di nazionalismo fuori tempo. Come nel monumento ai caduti sloveni nella Grande guerra eretto a Doberdò. O come il monumento che a Cervignano ricorda i caduti friulani con la divisa dell’Au. E gli italiani? I calabresi? I sardi? Non sono morti da ricordare?».

Adriano Ossola. «Nel monumento a Borojevic non ci vedo nulla di sconveniente, lo trovo anche corretto dal punto di vista storico: lui è stato un comandante entrato nel mito. Sono orgoglioso di essere italiano e ricordo che per la prossima edizione del festival èStoria ho scelto il titolo “Italia mia”, ma non nascondo di riconoscermi sempre di più in cui coltiva il mito dell’Austria. Tuttavia, penso che lo scopo del centenario non era quello di erigere monumenti».

Paolo Polli. «Sta nel diritto e nel dovere di ciascun Paese ricordare la propria identità, fermo restando che l’obiettivo finale è costruire un’identità europea dei popoli capace di innervare quest’Europa che non può essere solo un soggetto economico. Sì alla propria identità, no ai radicalismi».

Pierluigi Lodi. «Borojevic non era un falco, era un buon generale bravo a circondarsi di validi sottoposti, come i generali Goiginger e Wurm, ottimi comandanti di corpo d’armata che più volte gli hanno tolto le castagne dal fuoco. Se si celebra un uomo, ancorché protagonista di quegli eventi, anziché riflettere sullo sfondo, la guerra, allora si è persa un’altra occasione. Noi italiani potremo piuttosto dare l’esempio cancellando Cadorna dalla toponomastica».

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