«La soluzione è di sollevare la barca dall’acqua»

Immaginate di camminare trascinandovi dietro un carrello con decine di pesi. Lo fate tutti i giorni solamente che non ve ne redente conto perché l’aria ha un peso contenuto al quale in nostro corpo è abituato. Una barca che naviga mette in moto il fluido attraverso diversi meccanismi: oltre all’attrito uno scafo rilascia un sistema di onde, detto scia di Kelvin, che, come spiegano Andrea Mola e Nicola Giuliani, ingegneri aerospaziali e ricercatori della Sissa, non è altro che energia che noi perdiamo.

«In sostanza - spiegano i ricercatori - uno scafo, per quanto fatto bene, lascerà sempre una scia e creerà onde che rappresentano una massa d’acqua che si è messa in moto e che si è costretti a trascinare con sé. In passato si è cercato di rendere il profilo delle barche quanto più stretto possibile, esiste però il limite rappresentato dalla legge di Archimede che consente ai corpi di galleggiare».

La legge di Archimede dice che un corpo immerso in un fluido riceve una spunta uguale e contraria alla massa del fluido spostata. Quindi un oggetto piatto avrà una galleggiabilità maggiore rispetto a un oggetto sottile.

«La soluzione - proseguono di due ricercatori - è quindi quella di sollevare la barca dall’acqua, riducendo quasi a zero l’energia dispersa visto che si annullano la resistenza della prua, della scia e l’attrito sullo scafo. Si ottiene quindi una maggiore velocità che genera vento apparente che a sua volta crea maggiore spinta in un meccanismo esponenziale».



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