Le testimonianze di tre specializzande neoassunte in Anestesia e Rianimazione: «Il sorriso di chi guarisce ti fa dimenticare la fatica»

TRIESTE Gli occhi sorridono quando torna alla memoria il primo paziente estubato e guarito. Un ricordo che Giulia Colussi, Giovanna Gallas e Federica Friso difficilmente scorderanno. Loro sono le tre specializzande all’ultimo dei cinque anni di Anestesia e Rianimazione appena assunte dall’Azienda sanitario universitaria giualiano isontina.
«Sono le nostre new entry - precisa il direttore del Dipartimento di attività integrata Emergenza Urgenza e Accettazione, Umberto Lucangelo -. Con l’ultimo bando abbiamo assunto dieci persone: quattro avevano già un incarico all’interno della struttura, tre sono specialisti già formati, ma a causa dei tempi tecnici due di questi non arriveranno prima di diversi mesi, e poi ci sono le tre specializzande che hanno risposto in maniera coraggiosa. Completeranno il percorso formativo a novembre, ma sappiamo che possiamo già fidarci delle loro capacità». «Sono comunque in turno sempre con un anziano», specifica Giorgio Berlot, direttore della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione e docente di Anestesiologia di UniTs.
Il Dipartimento di Emergenza Urgenza fino a poco tempo aveva in organico 53 dottori, ora saliti a 60. Mediamente in ognuno dei tre turni giornalieri (articolati nelle fasce 8-14, 14-20 e 20-8) sono in servizio 40 medici che si dividono tra sale operatorie, terapia intensiva, ambulatori, ambulanze, terapia del dolore, elisoccorso, anestesia e, da un anno, Arta Covid, la terapia intensiva dedicata. Un totale di 45 posti letto, un anno fa erano 15, e circa mille pazienti all’anno.
«Non ero una di quelle bambine che sognano fin da piccole di fare il dottore - racconta Giulia Colussi da Vittorio Veneto -, tanto che al liceo ho fatto il linguistico. Poi però mi sono appassionata a Medicina. La specializzazione l’ho scelta dopo un periodo di un anno in Inghilterra in un reparto Chirurgia cardiotoracica: lì e mi sono innamorata dell’area intensiva».
Giovanna Gallas arriva invece da Gradisca d’Isonzo. «Pur avendo un padre e altri familiari medici ho fatto studi umanistici: sono sempre stata attratta dalla biologia e dalla scienza collegate all’essere umano. Ho dato la tesi in Neurologia, ma ho poi scelto la specialistica in Anestesia e rianimazione: qui sono in gioco molte sfaccettature e viene richiesta una visione complessiva ampia, profonde conoscenze e tanto studio: la parte più bella e stimolante».
«Sono cresciuta pensando di fare Ingegneria - racconta invece Federica Friso da Padova -. Avevo provato a fare diversi test di ingresso e alla fine ho passato Medicina. Nonostante la laurea a Padova, ho scelto poi Trieste perché ci sono meno specializzandi e quindi nel periodo di formazione si è seguiti in maniera importante. Pensavo inizialmente di fare Medicina d’urgenza, un mondo che mi affascina, poi invece ho preferito scegliere qualcosa di più completo».
Tutte e tre le giovani hanno avuto inevitabilmente qualche momento di difficoltà. «Ma mai nessuno dubbio sul percorso scelto» spiegano. «Lavorare in terapia intensiva - sottolinea Giulia Colussi - è ora emotivamente ancora più impegnativo. Con il Covid la situazione è diventata più pesante perché il rapporto con i parenti è solo al telefono e non sempre capiscono quanto sono gravi le condizioni dei familiari». «È quasi impossibile non restare coinvolti - aggiunge Giovanna Gallas -: la fatica è tanta ma la affronto con determinazione perché questo è il mio lavoro».
Capita poi che un paziente non ce la faccia. «Il momento più duro - prosegue Federica Friso - è stato lo scorso anno quando è arrivata la prima ondata. Abbiamo avuto pazienti dell’età dei miei genitori, arrivati qui sani, che non sono riusciti a superare la malattia. Per la prima volta ho iniziato a far fatica a prendere sonno».
Naturalmente ci sono anche momenti belli. «Quando un paziente ce la fa, è una gioia per tutti», sottolineano all’unisono le tre giovani dottoresse. «Ieri ho sentito l’urlo liberatorio di una famiglia a cui avevo appena detto che la madre si era svegliata» racconta Colussi, mentre Friso ricorda «i pollici verso l’alto di una donna quando le ho detto che era forte perché era carnica». Nella prima linea della guerra contro il Covid capita anche questo. —
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