«L’infermiere pedofilo abusò delle bimbe»

TRIESTE Mauro Cosolo era non solo un guardone, ma anche un violentatore. Lo scrive a chiare lettere il gup Luigi Dainotti nelle motivazioni della sentenza a carico dell’insospettabile infermiere del Burlo condannato lo scorso 29 giugno a sette anni e sei mesi di reclusione al termine del processo con rito abbreviato.
Nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi si legge che Cosolo «non solo riprendeva di nascosto (ndr con la penna telecamera) gli organi genitali delle minorenni che erano sottoposte alle sue cure, ma compiva veri e propri abusi sessuali proprio nei confronti delle giovanissime bimbe e ragazzine».
Il giudice Dainotti ha basato la sua sentenza proprio su questi due elementi. Non solo: i video recuperati hanno evidenziato anche che l’imputato «si filmò», così si legge, nell’atto di toccare alcune parti intime delle ragazzine. E riguardo ai filmati che durante le indagini della Squadra mobile erano stati trovati nella sua casa, il gup osserva che «il numero decisamente elevato consente di escludere che possa averli scaricati per errore e nella inconsapevolezza del contenuto».
Il giudice Dainotti, nella sua ricostruzione analitica, rileva anche episodi sconcertanti. Come quello all’origine della denuncia dalla quale poi sono scattate le indagini coordinate dal pm De Bortoli. Scrive: «Il racconto della vicenda effettuato dalla madre della bimba e da parte di tre testimoni (ndr, un medico e due infermiere del Burlo) rende inverosimile la giustificazione che l’imputato rese per iscritto ai suoi superiori». Continua: «Tale ricostruzione è suffragata dalle dichiarazioni dei testimoni circa precedenti analoghi episodi, che avevano ingenerato sospetti sull’imputato». E ancora: «I video e le fotografie recuperati dalle memorie degli apparati sequestrati rappresentano la prova inoppugnabile delle morbose abitudini di Cosolo».
Nelle motivazioni - che riprendono l’impianto accusatorio del pm De Bortoli - vengono esaminati tutti gli episodi. Ma vengono anche considerate le risultanze della perizia da parte dello psichiatra Bruno Norcio che aveva attestato «la capacità dell’infermiere di partecipare coscientemente al processo». Ma anche che all’epoca dei fatti (tra il 2006 e il 2014) Cosolo era in condizioni psichiche che non hanno influito sulla sua capacità di intendere e di volere. Confutate al contrario le motivazioni del consulente della difesa Simone Rolfo riguardanti la sindrome post traumatica da stress «in seguito al barbaro omicidio del fratello Bruno».
Osserva poi il giudice Dainotti riguardo l’ipotesi che l’infermiere abbia sofferto di uno sdoppiamento della personalità: «Non si rinviene agli atti o nella storia familiare di Cosolo alcun segnale di una compresenza di due personalità. Ipotizzare che Mauro Cosolo si sia completamente identificato nel fratello (ndr, era stato ucciso nel 2000 nel corso di un incontro con tre marittimi egiziani) pare argomentazione non solo suggestiva ma decisamente smentita dalle argomentazioni del perito Bruno Norcio».
I difensori di Cosolo, gli avvocati Marta Silano e Raffaele Leo, avevano chiesto al giudice di dichiarare la nullità e l’inutilizzabilità della perizia. E di conseguenza l’assoluzione per tutti i capi di imputazione. Il rappresentante dell'accusa aveva chiesto una condanna a otto anni e otto mesi di reclusione.
Per quanto riguarda le parti civili in sentenza il giudice ha disposto un risarcimento variabile a seconda della gravità del singolo episodio: da un minimo di 1500 euro al massimo di 40 mila euro su un totale di 25 parti offese, ovvero vittime delle ispezioni con la telecamera dell’infermiere. Per ognuno dei genitori è stato disposto anche il risarcimento di 5 mila euro. Ma Cosolo dovrà anche pagare 30 mila euro al Burlo, il suo vecchio datore di lavoro.
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