Lo zio si suicida, condannato il nipotelo perseguitava: riconosciuta la colpa
Perseguitava l’anziano che si era ucciso per la disperazione: sei anni per omicidio colposo. Condannato anche per circonvenzione d’incapace: si era fatto acquistare due automobili

PORDENONE.
Aveva messo fine ai propri giorni, legando il cappio alla maniglia di una porta di casa e lasciandosi scivolare sul pavimento. «Mio nipote mi chiede sempre soldi, mi ha spolpato e io non reggo più questa situazione» aveva scritto a futura memoria Elio G., 62 anni, pensionato, la vittima della spoliazione. Era il gennaio del 2008.
Ieri il ”nipote” Renè Cappelletti, 43 anni, residente a Muggia in via D’Annunzio ma domiciliato a Pordenone a casa della fidanzata, è stato condannato a sei anni di carcere con rito abbreviato. Due i reati di cui il presidente del gip Raffaele Morvay lo ha riconosciuto colpevole: l’omicidio colposo e la circonvenzione di incapace. Il pm Giorgio Milillo aveva chiesto una pena ancora più severa, nove anni di carcere, mentre l’avvocato Mauro Dellago che rappresentava in giudizio gli interessi dei familiari dell’uomo che per disperazione aveva messo fine ai propri giorni, ho ottenuto oltre alla condanna anche un congruo risarcimento-danni: quasi novantamila euro.
Ieri l’imputato, rimasto sempre a piede libero, non si è presentato all’udienza e il difensore, l’avvocato Alessandro Carbone, ha dovuto assumersi il delicato compito di informarlo telefonicamente dell’esito del processo. Scontato fin d’ora il ricorso in appello.
L’inchiesta era nata da un esposto presentato dai familiari dello zio che si era ucciso: determinate si è rivelata la raccolta di materiale probatorio effettuata e messa a disposizione dei carabinieri e della pm Giorgio Milillo, proprio dall’avvocato Mauro Dellago.
Era così emerso che Renè Cappelletti aveva cercato di far vendere allo zio la casa in cui viveva: si era fatto acquistare due automobili e di una terza si era impossessato; lo aveva indotto ad accendere un mutuo molto oneroso e lo aveva minacciato, maltrattato e ricattato. Elio G. secondo la Procura e da ieri anche secondo la sentenza di primo grado, non era riuscito a reggere la pressione ossessiva e continua alla quale lo sottoponeva ogni giorno il giovane che lo chiamava «zio» anche se tra loro non c’erano legami di sangue. Lo «zio» aveva guadagnato questo ruolo solo perché gli era stato padrino di battesimo tanti anni fa.
I maltrattamenti erano stati così prolungati che, come si legge sul capo di imputazione, «Elio G. aveva deciso di togliersi la vita nella propria abitazione».
Ancora oggi non è comunque del tutto chiaro quanto denaro gli avesse sottratto Renè Cappelletti. I documenti faticosamente ricuperati dicono 28 mila euro, a cui si affiancano gli acquisti di due automobili. Il pensionato percepiva 800 euro al mese dall’Inps, versati tutti in un conto corrente postale sul quale in «nipote» poteva operare grazie alla firma congiunta. Chiaro ed evidente nella progressiva spogliazione anche la cessione ad una società finanziaria del cosiddetto ”quinto di stipendio”. Elio G. aveva ottenuto un anticipo di 18 mila euro di cui la Procura non è riuscita a ricostruire il percorso in uscita. Scomparsi. La restituzione del prestito alla «finanziaria» si sarebbe conclusa appena nel 2017.
Il processo con rito abbreviato si è snodato in un paio d’ore. Il pm Giorgio Milillo non ha sostenuto la tesi dell’omicidio colposo, ma quella dei maltrattamenti tanto gravi da cagionare la morte del pensionato. Il giudice Raffaele Morvay, al contrario, ha ritenuto che si è trattato di un omicidio colposo e ha applicato la relativa pena. Per comprendere la sottile ma diversa qualificazione giuridica sarà necessario attendere il deposito delle motivazioni della sentenza. Il difensore aveva invece sostenuto che quanto raccolto dall’accusa nel corso dell’inchiesta erano solo indizi in buona parte contradditori e non già prove adatte a condannare.
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