L’operaio Guanciale: «La sinistra? Torni a far politica di strada»

Fino al 4 maggio in scena al Rossetti con la riduzione per le scene del film di Elio Petri. E venerdì, al Caffè San Marco, legge “Hostia” di Bonadonna

TRIESTE Sfruttato dalla fabbrica in cui lavora, stakanovista, vittima della società dei consumi. Questo è Lulù Massa, interpretato da Lino Guanciale. Tratto dal film di Petri del '71, da Paolo di Paolo, “La classe operaia va in paradiso”, regia di Claudio Longhi, sarà al Politeama Rossetti fino al 4 maggio, alle 20.30 e domenica 5, alle 16. In scena anche Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell'Utri, Simone Francia, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo e Filippo Zattini.

Guanciale, attorno allo svolgimento narrativo del film avete aggiunto personaggi che portano lo spettatore su un piano partecipativo...

«Abbiamo inserito il regista e lo sceneggiatore per raccontare come è stato concepito il film. C'è un prologo dove vengono mostrate storie di operai dal 1884 al 2017 e c'è anche una figura di cantastorie che brechtianamente fa da connettivo fra le scene. Sono presenti pure gli spettatori: per quelli di allora ci siamo basati sulle critiche e recensioni, mentre per dar voce a quelli di oggi abbiamo fatto vedere il film a ragazzi, operai in attività e in pensione, imprenditori. Queste voci aiutano a portarsi il film addosso».

Oggi gli operai hanno perso la fiducia nella sinistra?

«Già allora era in corso, da una parte della sinistra, un'idealizzazione del mondo operaio, che in realtà non raccontava fino in fondo la dimensione esistenziale dei lavoratori. Si vedeva in loro l’incarnazione dell’avvenire, ma non si conoscevano le loro aspettative. Negli anni '70 qualcosa iniziava a scricchiolare per poi generare le conseguenze più nefaste, fino a uno scollamento tra le forze progressiste e il mondo dei lavoratori».

Bisognerebbe capire che ruolo potrebbero avere oggi la destra e la sinistra…

«Sì, ma avendo chiara la differenza tra forze conservatrici e quelle progressiste. Tanti che hanno votato sinistra, sentendosi abbandonati hanno preferito forze che garantivano più attenzione. Alcuni si saranno pentiti ma ciò non vuol dire che in automatico questo si trasformi in un nuovo consenso per la sinistra. Se non si torna a fare politica di strada, non ci si può aspettare un rilancio concreto della sinistra».

L'altro anno con l’Alto commissariato delle Nazioni Uniti per i rifugiati (Unhcr) è stato in Libano, di recente in Etiopia...

«In Libano ci si ritrova a fronteggiare un’emergenza numericamente schiacciante che riguarda una maggioranza di rifugiati siriani (2 milioni) con poche altre componenti, invece, in Etiopia si è di fronte a un paese che accoglie 1 milione di rifugiati ma di tipologie diverse: sudanesi, yemeniti, somali, eritrei. In Africa c’è una filosofia corretta: “Oggi tocca a voi, domani potrebbe toccare a noi”. Perciò è doveroso curare bene il problema dei rifugiati. Le persone lì non sognano tanto un paese specifico, quanto un orizzonte quasi utopico in cui riuscire a salvarsi e avere una vita normale. Cercano un posto dove lavorare e lo trovano anche nella stessa Africa, e poi molti eritrei che fanno lì l’università sperano di essere collocati altrove».

A volte si parla senza sapere come sia lì la realtà...

«Metà delle persone che provano a fare il viaggio della speranza, in mano ai trafficanti di uomini, muoiono già in Africa. Nel campo di rifugiati che ho visitato c’è un progetto che prevede che chi ha fatto questo viaggio, ma è riuscito a tornare, racconti agli altri la sua storia, perché sia d’insegnamento. Dal prossimo anno per i rifugiati in Etiopia sarà possibile lavorare con contratti regolari. Questo dovrebbe aumentare le possibilità di assorbimento già nel paese africano».

Il 3 maggio, alle 17, al San Marco, leggerà “Hostia” di Federico Bonadonna. Cosa l'ha colpita?

«È un racconto su che cosa sia la vita, la dimensione umana di chi si trova ai margini. In questo caso mi riferisco agli italiani: Hostia è ambientato sul litorale romano a metà anni ’80. Sono stato conquistato dalla crudezza e delicatezza nel raccontare storie vere». —


 

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