L’ultimo conducente dei carri funebri

La Zimolo teneva gli animali nella stalla di un parente di Romano Pitton: «Vergogna lasciar marcire le carrozze»
Di Igor Buric

È il 1940 e un adolescente trapassa anzitempo. Coincidenza vuole che l'impresa funebre Zimolo abbia bisogno di un cavallo bianco che traini il carro che accompagnerà il giovane al camposanto. Per tradizione l'animale adibito al trasporto del feretro è del medesimo colore del carro su cui viene caricato il corpo. Trieste è italiana da due decenni, le auto rombano lungo le vie della città, ma per le cerimonie dell'ultimo saluto la Zimolo usa ancora carri funebri costruiti dall'Austria. Il “traghettatore” del ragazzo sarà Romano Pitton, di 17 anni. Il corteo mortuario partirà da via Pietà e attraverso piazza Garibaldi e via del Bosco – poiché la galleria di piazza Foraggi non esiste ancora – arriverà a Sant'Anna, consegnando il morto alla terra. Oggi quel cavaliere diciassettenne che guidò il carro è un signore di quasi un secolo di età ed è l'unica persona in vita ad aver condotto un carro asburgico trainato da cavalli.

All'epoca lei era dipendente dell'impresa “Farsura” e svolgeva tutt'altro mestiere. Come si è ritrovato alla testa del corteo funebre?

La stalla in cui teneva i cavalli la Zimolo era di Carlo Pitton, il fratello di mio nonno. Suo figlio Marcello mi vedeva spesso a dorso di un cavallo bianco e un giorno mi raccontò dell'urgenza della ditta, chiedendomi non solo l'animale, ma anche di guidare il carro. L'equino apparteneva alla fabbrica di saponi dei fratelli Hauser. Il padre di un mio amico era operaio dell'azienda e per conto di questa consegnava saponette a bordo di un calesse. La casa gli lasciava la bestia in custodia e quando egli non lavorava la dava a noi due.

Quindi il fratello di suo nonno affittava alla Zimolo il ricovero per i loro cavalli?

Prima lui e poi suo figlio. L'edificio esiste ancora, si trova al numero 9 di via da Feltre e al tempo era conosciuto come “la stala de Carlo”. Al primo piano abitavano mio zio Carlo e la sua famiglia, mentre il pianoterra era adibito agli animali. L'impresa funebre vi teneva sei cavalli neri e ogni mattina gli addetti ne portavano quattro nella vicina via Vecellio, dove la Zimolo custodiva i propri carri. Adoravo quelle carrozze: erano di una bellezza straziante. Andavo ad ammirarle ogni volta che potevo.

Cosa accadde poi alla stalla?

Quando traghettai il corteo funebre era già passata al figlio, poiché Carlo era ormai vecchio per gestirla. La vita era cambiata: le macchine avevano soppiantato i cavalli e mio padre consigliò a Marcello di vendersi le ultime bestie e trasformare la stalla in garage. Così fece. Chiesi quindi a Marcello di regalarmi la testa di cavallo che era attaccata sulla facciata esterna del fabbricato. Mio cugino acconsentì, ma la Soprintendenza per i beni architettonici ne vietò l'asportazione ed essa è ancora là. Quella vecchia stalla trasuda una montagna di storie: vi furono ospitati anche i cavalli che condussero da piazza Unità alla stazione centrale i feretri di Francesco Ferdinando e della moglie Sofia dopo che morirono ammazzati a Sarajevo.

Il carro che trasportò l'arciduca è sparito. E ci sono tre carri abbandonati in una galleria di viale D'Annunzio, l’ipotesi è che uno potrebbe essere il suo. Cosa ne pensa?

È vergognoso che marciscano là sotto. Anche se nessuno dei tre fu di Francesco Ferdinando, i carri sepolti nel bunker sono favolosi, andrebbero recuperati e preservati. Essi sono parte della memoria della nostra città, li abbiamo lasciati franare nel mare dell'oblio ed è nostro dovere farli riemergere.

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