Marco Cavallo porta all'Expo il "Basaglia nero" FOTO

MILANO Da meccanico a salvatore centinaia di malati psichici in Africa: è la vita di Grégoire Ahongbonon, 62 anni, originario del Benin, che in Italia è conosciuto come il "Basaglia nero" per il suo impegno nel ridare dignità ai matti dell'Africa. Grégoire, che non è un medico come tiene a precisare ma un «uomo qualsiasi», è arrivato all'Expo di Milano per portare la voce «dei dimenticati, degli ultimi fra gli ultimi, i malati psichici, persone di cui nessuno parla mai e che invece possono contribuire attivamente allo sviluppo della società».
La sua testimonianza al padiglione Kip, International School dell'Onu, ha inaugurato il ciclo di incontri dedicato alla malattia mentale organizzato dall'associazione di Trieste «Marco Cavallo», che trae il suo nome dalla omonima statua creata da Vittorio Basaglia (cugino di Franco), divenuta simbolo della lotta contro la malattia mentale.
Da 30 anni Grégoire gira l'Africa in auto per liberare letteralmente i malati dalle catene. «I matti non sono venuti al mondo per essere incatenati - ha spiegato - di ogni uomo, donna e bambino in catene è responsabile tutta l'umanità». In alcuni stati dell'Africa, come il Benin, la Costa d'Avorio, il Togo «sono considerati posseduti dal demonio - ha raccontato - e le persone hanno paura di essere contagiate quindi li legano ad un albero, oppure li lasciano vagare per la strada, spesso nudi».
Il '"Basaglia nero" setaccia le strade delle città per trovarli e portarli nelle case di cura che ha fondato, parla con i capi villaggio e li convince a spezzare le catene che li tengono legati ad un albero. Da quel momento i malati «riconquistano vita e dignità». L'associazione Saint Camille de Lellis, fondata da Grégoire, ha aperto in Costa d'Avorio e Benin decine di centri di accoglienza e lavoro, ambulatori di salute mentale dove i pazienti possono proseguire le cure con continuità.
«Liberiamo i malati dalle catene - ha detto - poi li facciamo tornare a scuola, oppure insegniamo loro un lavoro. Molti diventano infermieri nei centri dove sono stati curati, a loro volta vanno poi a liberare i malati ancora incatenati. Altri invece rientrano nei loro villaggi e contribuiscono con il lavoro alla crescita di quella società che prima li emarginava».
Dopo 30 anni di vita al servizio dei matti d'Africa Grégoire ha ancora un progetto da realizzare e anche per questo ha portato la sua testimonianza a Expo. «L'urgenza adesso è quella di aprire un centro di cura in Togo - ha spiegato - dove nei boschi ci sono centinaia di malati incatenati agli alberi, tra loro anche donne e bambini». (Ansa)
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