«Mi scuso con la Polizia e con i triestini», ma l’avvocato in fuga rimane in carcere

TRIESTE. «Mi scuso con i poliziotti e con tutte le persone che c’erano a Barcola, non volevo fare male a nessuno. Ho avuto un blackout». Parla dal Coroneo dove e è detenuto, Paolo Pironti, l’avvocato-pusher di quarantasette anni che venerdì ha seminato il panico in viale Miramare nel tentativo di scappare dall’inseguimento della Squadra mobile.
Pironti, difeso dal legale Antonio Cattarini, è stato interrogato ieri dal gip Luigi Dainotti. Il giudice ha convalidato l’arresto e ha disposto la detenzione in carcere, così come richiesto dal pm Maddalena Chergia. L’avvocato spacciatore resta dunque in cella.
Altro non trapela, non ancora, sul suo giro di droga. Perché, questo è certo, Pironti a Trieste aveva contatti e conoscenze in quel mondo. La Mobile, venerdì, gli era ormai addosso: non era un controllo “a caso” quello nei pressi dell’abitazione dell’avvocato, in Salita di Contovello, da dove è cominciato l’inseguimento.
Il quarantasettenne nascondeva cocaina in auto: quella che ha lanciato dal Suv nei pressi del Cedas mentre correva a gran velocità per tutto viale Miramare, a zig zag e contromano, rischiando di travolgere i bagnanti e di finire contro le auto che provenivano dal senso opposto. Ha davvero del miracoloso il fatto che non si sia fatto male nessuno. Poteva finire in tragedia.
La Mobile ha subito cercato di fermare il sospettato all’incrocio con Salita di Contovello, da dove proveniva, parandosi davanti al Suv e urlandogli “polizia!”. Ma l’avvocato ha investito gli agenti. Due poliziotti hanno poi sparato alle gomme. Una scena da film.
Pironti ha continuato la sua folle fuga fino all’Hotel Riviera, in Costiera, dove un’auto della Mobile è riuscita a bloccare il Suv speronandolo. L’avvocato aveva addosso hashish e un coltello a serramanico. In casa sua, nel corso delle perquisizioni, è stata trovata altra cocaina. Da dove proveniva? E a chi era destinata?
L’inchiesta del pm Chergia, come ovvio, non si fermerà all’episodio di venerdì. Potrebbero emergere sorprese tra il mondo di spacciatori e consumatori. Pironti del resto si era fatto anche dei nemici. Stando a quanto è stato possibile apprendere, è per questo che teneva con sé il coltello a serramanico. Così, almeno, si sarebbe giustificato il detenuto durante gli interrogatori.
Che il quarantasettenne dovesse in qualche modo guardarsi alle spalle è confermato da un’indagine a carico di un suo conoscente: il quarantanovenne triestino Fabio Polese, un ex meccanico, dj per hobby (al momento l’uomo è agli arresti domiciliari), che nel 2004 era stato coinvolto in una maxi inchiesta su un traffico di cocaina con la Croazia. Stupefacente destinato ai festini e alle serate triestine.
Pironti sostiene di essere stato minacciato di morte da Polese, con appostamenti e messaggi accompagnati da video e foto della strada di accesso dell’abitazione.
Ma in questa vicenda parallela ci sarebbe anche un’altra vittima: il quarantaseienne triestino F.B., proprio il proprietario del Suv bianco su cui Pironti scappava venerdì. Anche lui afferma di aver ricevuto minacce (e aggressioni) da Polese.
Le due vicende - le intimidazioni e la droga - hanno un collegamento? C’è di mezzo un regolamento di conti?E come potrà spiegare, l’avvocato, la folle fuga a Barcola? Il “blackout”, con cui si è giustificato rispondendo all’interrogatorio del gip, non convince.
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