Mimetizzate in centro 30 case a luci rosse
Sparite dalla strada, esercitano in alloggi accanto a famiglie normali. Chiedono da 50 a 200 euro
di Laura Tonero
di Laura Tonero

Resistono a Trieste ancora 30 appartamenti a luci rosse. Sparsi per la città, mimetizzati tra le case dove vivono le famiglie normali. Polizia e carabinieri, sotto la regia della Procura, da mesi sono impegnati sul fronte della «prostituzione domiciliare» con i pochi strumenti forniti dalla legge. Scovano le case del sesso seguendo la pista degli annunci su Internet, quando possono le fanno chiudere e le sequestrano. L’indagine è decollata anche grazie alle numerose segnalazioni giunte da condomini esasperati del continuo viavai di clienti che spesso aspettano il loro turno in palazzi di tutto rispetto. Ma non sempre possono intervenire.
Esiste, ormai, una sorta di mappa delle «alcove» più frequentate alle quali centinaia di triestini di tutte le età e di tutti i ceti bussano a qualsiasi ora del giorno e della notte per fugaci rapporti sessuali che pagano da un minimo di 50 ad un massimo di 200 euro. Le case delle squillo più gettonate si trovano in via Colombo 12, in via dei Leo 14, in via dei Giuliani 17, in via Molino a Vento 19 e in via del Fico dove non c’è neanche il numero civico.
Ma altri appartamenti a luci rosse, dove straniere dai 20 ai 35 anni forniscono le loro prestazioni, sono in via Piccardi al civico 14, al numero 1 di piazza Leonardo da Vinci, in via Belli 4 e in via Fabio Severo al civico 4, a pochi metri dal Tribunale e dal carcere. Le prostitute che, con più o meno discrezione, ricevono i loro clienti in questi appartamenti affittati, sono principalmente sudamericane e sudafricane. Ma sta crescendo il numero delle cinesi, parecchie anche le giovani dell’Est Europa. Pochissime le italiane.
La mappa della prostituzione in casa si concentra soprattutto attorno alle vie di San Giacomo. In via Molino a Vento riceve una giovane cubana, in un condominio di quattro piani ristrutturato qualche anno fa. In via dei Leo, al civico 14, riceve una sudamericana. Le sue foto proposte anche su internet: ventiquattro anni, venezuelana, formosa. Una giovane proveniente dal Sud America «lavora» invece a due passi da piazza Puecher e più precisamente in via dei Giuliani 17: un grande condominio verde, l'entrata semplice e la sua cassetta della posta sempre stracolma di volantini pubblicitari.
I frequentatori delle «squillo» conoscono a menadito i loro indirizzi e i numeri civici. E sembra che in città esista una sorta di scambio di numeri di telefono. Basta chiamarle sul cellulare e prendere appuntamento: il gioco e fatto. «A che ora posso venire e trovarti? Dove ti trovo e a che campanello devo suonare?»- chiedono i clienti.
Le prostitute cinesi e quelle italiane, rispondendo al telefono, non indicano con facilità l’indirizzo esatto: danno un punto di riferimento. Poi si fanno ricontattare e telefonicamente guidano il cliente fino alla loro abitazione. Più imprudenti le ragazze dell’Est e del Sud America che, dopo aver rotto il ghiaccio, forniscono il loro indirizzo. «Puoi raggiungermi anche ora - sussurra la giovane - ti aspetto». Tutte preferiscono vie e stradine un po’ defilate, grandi e anonimi condomini. Sulla targhetta del campanello, il più delle volte non compare alcun nome. Adesso la Procura conta di chiuderle tutte in poco tempo.
Argomenti:prostituzione
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