Mini-centrali idroelettriche, Belgrado verso lo stop

In Serbia una legge vieterà la costruzione di nuove dighe sui corsi d’acqua che attraversano parchi e zone naturali: prima vittoria degli ambientalisti

BELGRADO A volte alzare la voce serve e la forza di argomenti scientifici, a difesa dell’ambiente, può essere più dirompente del tintinnio delle monete. Lo sta scoprendo la Serbia, primo Paese dei Balcani che metterà presto un freno alle mini-centrali idroelettriche sorte come funghi negli scorsi anni su fiumi e torrenti: un fenomeno che ha preoccupato e ancora preoccupa ecologisti e popolazioni locali.

La svolta è stata annunciata, a sorpresa, dal segretario di Stato all’Ambiente, Ivan Karić, che ha annunciato che Belgrado ha già approntato una bozza di legge per mettere al bando la costruzione di nuove mini-dighe e centrali idroelettriche sui corsi d’acqua che attraversino parchi naturali e zone protette, da approvare a inizio del prossimo anno. Non solo: le future norme prevedono anche che gli impianti per la produzione di energia già realizzati in passato, senza però rispettare le procedure per il rispetto dell’ambiente, perdano il diritto di accedere ai sussidi pubblici per la fornitura d’elettricità. Norme draconiane che sono necessarie, ha assicurato Karić alla Reuters. Il boom di mini-sbarramenti, non solo in Serbia, è un fenomeno pericoloso e «se questa tendenza non-ecologica» andrà avanti «perderemo allora migliaia di chilometri di fiumi, per sempre», ha detto Karic.

Non sono esagerazioni, quelle del giovane politico serbo. Lo ha confermato un paio di giorni fa un nuovo studio delle Ong Riverwatch ed Euronatur, da anni in campo per difendere il «Cuore blu» d’Europa, i fiumi balcanici, e per spingere su eolico e solare. Lo studio ha preso in considerazione attraverso nuove analisi scientifiche «una rete idrografica di oltre 80 mila chilometri» in tutti i Balcani e in Grecia, hanno specificato le due organizzazioni. Balcani dove, malgrado l’assalto ai corsi d’acqua da parte degli investitori negli ultimi anni, sono oggi «circa 61 mila i chilometri ad alta qualità ecologica», «moderatamente» o per nulla «modificati» dalla mano dell’uomo, paradiso a rischio perché «sono tremila le centrali idroelettriche in progetto o in costruzione tra Slovenia e Grecia», di cui «mille circa in aree protette». La soluzione, «zone no-go», off-limits per le ruspe e le centrali, ha specificato Ulrich Eichelmann, numero uno di Riverwatch.

Zone come quelle che dovrebbero nascere in Serbia a partire dal 2019, non facendo sicuramente contente le aziende – oltre 800 milioni di euro investiti solo da banche internazionali nell’idroelettrico balcanico tra il 2005 e il 2015, secondo stime di Bankwatch. Zone che potrebbero essere copiate anche in altri Paesi dell’area – in testa Montenegro e Albania, fra i più interessati dallo “tsunami” di sbarramenti - la speranza di ambientalisti e delle popolazioni investite dall’onda delle mini-dighe. Popolazioni che, nell’ultimo periodo, hanno deciso di farsi sentire. Come ad esempio a Rakita, un villaggio in Serbia dove i residenti, in testa gli anziani del posto, stanno da mesi opponendo resistenza passiva a bulldozer e polizia per difendere il torrente che attraversa il Paese. Altre proteste sono state registrate nei mesi scorsi sempre nell’area di Stara Planina al grido di «non vi diamo una goccia della nostra acqua». Scenari speculari anche in Bosnia, dove le «Donne coraggiose di Kruscica», in una lotta tutta in rosa, hanno ingaggiato e vinto una battaglia di piazza e legale. Contro un’altra, l’ennesima mini-centrale. —


 

Argomenti:balcani

Riproduzione riservata © Il Piccolo