Monfalcone, arrivo di operai stranieri: il processo resta ingolfato

MONFALCONE L’ultima udienza al Tribunale di Gorizia si è tenuta la scorsa settimana. Ripreso il fascicolo in mano, questa volta si è in qualche modo “blindato” il procedimento procedendo alla programmazione delle date di udienza. Una calendarizzazione che, a questo punto, visto il periodo estivo, riguarderà il prossimo anno.
Si partirà infatti il 18 gennaio 2018. È dal 2010 che il procedimento in relazione al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si muove a tappe “diluite”. A singhiozzo, tra innumerevoli rinvii, compreso l’insediamento di un nuovo Collegio giudicante.
L’imputato principale è il bengalese Mohammad Hossain Mukter, noto come Mark, all’epoca rappresentante di spicco della comunità asiatica di Monfalcone, presidente del Coordinamento immigrati, segretario dell’associazione Bimas Bangladesh Workers Association.
A processo sono inoltre imputati una decina tra imprenditori, anche del Monfalconese, e lavoratori bengalesi, nonché di altre nazionalità. La vicenda risale nei suoi albori d’indagine tra gli anni 2007 e 2009, a fronte di un’inchiesta sviluppatasi attorno alla gestione delle quote immigratorie.
Il processo aveva preso avvio nel 2010. Con la nuova udienza fissata all’inizio del prossimo anno, sono trascorsi otto anni. Un percorso evidentemente complesso e, per certi versi, altalenante. Ma ciò che si evince è il fatto che il dibattimento se non è proprio all’anno zero, poco ci manca.
Allo stato attuale, infatti, sono stati ascoltati solo due testimoni di Polizia, tra cui l’ispettore Mauro Milocco, appartenente alla Squadra Mobile di Gorizia, che aveva eseguito una parte delle indagini, a partire dalle intercettazioni telefoniche fino agli appostamenti.
Per un terzo teste, inoltre, la deposizione era appena iniziata, pertanto, è possibile che si provveda ad una nuova “chiamata” in aula, davanti al Collegio giudicante. Si tratta dei testimoni presentati dalla pubblica accusa, che di notifiche a comparire ne ha presentate altre dieci.
Il tutto, dunque, per quanto concerne il pubblico ministero. Vanno, infatti, considerati i testi presentati dai legali difensori degli imputati. Solo per l’avvocato Federico Cechet, che tutela gli interessi di Mukter, si parla di un’altra decina di testimoni. Perlopiù bengalesi che erano in rapporti con l’imputato proprio in qualità allora di rappresentante della comunità immigrata.
Tra i testimoni chiamati a deporre dall’avvocato Cechet risultano anche il responsabile all’epoca dell’Ufficio del Lavoro di Gorizia e il capo, sempre all’epoca, dell’Ufficio immigrazione goriziano. Un carico così consistente di attività dibattimentale fa presupporre la necessità di dover affrontare ancora tempi lunghi per questo procedimento. Certo è che non si pone il problema della prescrizione, poiché per il reato contestato, quello di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sono previsti vent’anni.
Si tratta evidentemente di un processo complesso, comunque, sia in relazione ai numerosi imputati, e quindi posizioni diversificate e frammentate, sia in ordine alla materia che disciplina le quote immigratorie e i relativi meccanismi procedurali e burocratici. Compreso anche l’aspetto, non secondario, della comunicazione linguistica, trattandosi di una vicenda che riguarda proprio la comunità bengalese.
L’inchiesta si era sviluppata da un’analisi di richieste presentate da imprenditori dal 2007 al 2009 in base alle quote immigratorie. Pratiche e richieste per entrare in Italia che, per gli inquirenti, si basavano su certificazioni e atti “fittizi”. Il tutto dietro compensi consegnati dagli immigrati che variavano da 5mila a 15mila euro.
Soldi che, sempre secondo gli inquirenti, finivano in parte agli imprenditori e in parte a Mark. L’indagine era originariamente stata avviata dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Trieste, in relazione in particolare all’aumento esponenziale di cittadini stranieri in arrivo nel territorio attraverso i ricongiungimenti familiari.
Il procedimento fu poi archiviato e gli atti erano stati trasmessi alla Procura di Gorizia. Da qui era iniziata l’inchiesta messa in campo dalla Mobile di Gorizia assieme al Commissariato di Polizia di Monfalcone, a cui si unì il filone investigativo della Guardia di Finanza.
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