Monfalcone, cubana emigrata per amore intrappolata dalla burocrazia
TRIESTE Ha richiesto il riconoscimento dello status di apolide al ministero dell’Interno, ma la sua è già una condizione di fatto. La donna, Yamilka Castanedo Selier, 42 anni, è sospesa nel limbo della terra di nessuno. Non può tornare a Cuba, dov’è nata, e a Monfalcone vi abita senza permesso di soggiorno. Intanto qualora venisse fermata dalle forze dell’ordine per il rituale controllo di identificazione sarebbe in grado di avvalersi della sentenza di assoluzione disposta dal giudice di pace di Gorizia per mettersi al riparo da provvedimenti in ordine alla sua presenza irregolare nel territorio italiano. A processo la donna ci è finita proprio perché priva di permesso di soggiorno, a fronte della violazione dell’articolo 10 bis del Testo Unico sull’immigrazione, disciplinato dal Decreto legislativo 286 del 1998. L’accusa, infatti, è stata quella di essersi trattenuta nel territorio italiano senza i requisiti previsti ai fini della sicurezza. Una “clandestina”, dunque. E giovedì scorso, al Tribunale di Gorizia, il giudice di pace Giuseppe Lalicata ha pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Formula piena.
La sua condizione di “clandestinità” è dovuta ad una causa di forza maggiore, non potendo rientrare nel suo Paese, ha sostenuto l’avvocato difensore Sascha Kristancic.
Tutto era iniziato il giorno in cui, era l’11 aprile 2016, s’era presentata alla Questura di Gorizia per richiedere il permesso di soggiorno. A Monfalcone era arrivata per ragioni sentimentali. Tuttavia s’era vista spezzare il desiderio di convolare a nozze, l’uomo era deceduto. Da qui l’esigenza di regolarizzare la propria posizione. Ma il permesso temporaneo di uscita da Cuba, avevano constatato in Questura, era da tempo scaduto, portando la donna davanti al giudice.
Giovedì, in udienza, era prevista l’audizione del poliziotto che aveva avviato la procedura culminata nel procedimento in ordine alla violazione della normativa sull’immigrazione. La pubblica accusa ha rinunciato al teste di fronte a un documento depositato dal difensore Kristancic, un atto firmato dal primo console di Cuba a Milano, datato 21 luglio 2016.
Il diplomatico della Repubblica cubana ha certificato che la 42enne era in possesso di regolare passaporto cubano rilasciato il 28 gennaio 2014, ad attestare la sua categoria di “emigrante”. Tuttavia, essendo decorso il termine dei due anni dall’uscita del territorio d’origine, il permesso di viaggio all’estero rilasciato dalle autorità competenti cubane è scaduto. Il console nell’atto ha indicato la possibile alternativa: per rientrare a Cuba la donna deve ottenere un’«habilitacion», un’autorizzazione di ingresso nel Paese pur limitatamente fino a 3 mesi. E valido solo se in possesso del permesso di soggiorno rilasciato dall’autorità italiana. Secondo le leggi migratorie vigenti a Cuba, la 42enne, definita cittadina cubana, non ne può stabilire la residenza, ha confermato il console nel documento.
Il pubblico ministero aveva richiesto la condanna a 5 mila euro di ammenda. L’avvocato Kristancic, da parte sua, aveva richiesto l’assoluzione in virtù dell’articolo 45 del Codice penale, in base al quale «non è punibile chi ha commesso il fatto per causa di forza maggiore». Qualora la donna fosse stata condannata, oltre all’ammenda sarebbe andata incontro anche alla sanzione accessoria, ovvero l’espulsione dall’Italia. Invece è stata assolta, in attesa del riconoscimento dello status di apolide che nel frattempo la 42enne aveva richiesto al ministero dell’Interno italiano. Una prima risposta era giunta il 28 giugno 2017, nella quale il dicastero aveva comunicato di non aver ancora preso una decisione.—
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