Morta per un ceffone, quarta volta in aula

Si apre oggi un nuovo processo a carico di un romeno dopo l’annullamento in Cassazione

di Claudio Erné

Oggi compare per la quarta volta davanti ai giudici Nicolae Coman, l’operaio rumeno di 36 anni, accusato di aver ucciso quattro anni fa in una abitazione di via del Veltro, Cristina Perco. Secondo l’inchiesta diretta allora dal pm Raffaele Tito l’ha colpita con una sberla al volto. Lei è finita a terra, ha battuto il capo ed è morta dopo tre giorni di coma all’Ospedale di Cattinara per una devastante emorragia cerebrale.

Il processo che si apre oggi davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello presieduta da Igor Maria Rifiorati, è diretta conseguenza dell’annullamento della condanna a otto anni inflitta all’operaio rumeno il 16 luglio 2009 da un’altra sezione della Corte d’assise d’appello di Trieste. I magistrati della Corte di Cassazione hanno accolto nel luglio 2010 il ricorso presentato dagli avvocati Maria Genovese e Alberto Kostoris, legali di Nicolae Coman.

«Non è stato sufficientemente chiarito - si legge nella sentenza di annullamento- che la Cristina Perco cadde battendo la testa sul pavimento, o su un mobile, non essendo affatto chiaro se la presunta caduta sia stata accidentale o provocata da qualcuno». La Cassazione critica anche quella parte della sentenza di condanna in cui la Corte d’assise d’appello scrive che la ricostruzione dell’omicidio effettuata «è la più probabile tra quelle possibili». «Si tratta di un giudizio meramente probabilistico che in verità non risulta appagante per determinare la condanna dell’imputato».

In altri termini non si può infliggere una condanna su base probabilistica. Va aggiunto che tutta l’inchiesta è stata contrassegnata da decisione spesso opposte dei giudici. L’arresto di Nicolae Coman, in un primo tempo non era stato ratificato dal gip che aveva ordinato la liberazione dell’operaio. Poi nuovi indizi raccolti dai carabinieri avevano indotto il giudice a una retromarcia e Nicolae Coman - che si è sempre proclamato innocente- era rientrato in carcere per essere liberato poco dopo la Tribunale del riesame. Alcuni giorni prima della conclusione del processo di primo grado celebrato con rito abbreviato, l’imputato aveva lasciato l’Italia da uomo libero. La sentenza al contrario lo aveva definito “colpevole” e gli erano stati inflitti 10 anni di carcere.

Forse ignaro della condanna l’operaio era rientrato in Italia ed era stato arrestato e rinchiuso in carcere. L’appello celebrato due anni fa aveva ridotto a 8 anni la pena, ma come ha sottolineato la Cassazione la decisione era stata motivata dai giudici a livello di probabilità. Poi il ricorso, l’annullamento e l’ordine di celebrare un nuovo processo: quello che si apre stamane con l’imputato in stato di detenzione.

Come dicevamo nell’inchiesta i dubbi superano di gran lunga le certezze. Secondo la Cassazione la vittima e l’uomo accusato di averla uccisa preterintenzionalemente «avevano una relazione sentimentale». Nell’ambito di questa relazione era scoppiato un litigio poi degenerato, secondo l’accusa, in un confronto fisico, favorito dall’alcol, confronto conclusosi con uno schiaffo al volto. Marina Perco sarebbe caduta a terra dalla sedia, battendo la testa.

Il medico legale Fulvio Costandinides, incaricato dell’autopsia aveva affermato che l’origine del trauma era assolutamente incerta e che sul povero corpo non c’era traccia di altre lesioni traumatiche.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo