Morto Mate Vekic una vita tra Ostpolitik e industria tessile
di Paolo Rumiz
È morto Mate Vekic, magnate del tessile nato in Croazia, Riposa a Trieste nella tomba di famiglia a Sant'Anna. Personaggio schivo e dalle sette vite, è stato legato alle forze indipendentiste del suo Paese. Nella sua villa di Opicina si sono tenuti incontri cruciali per la Ostpolitik italiana. Ha avuto tre figli, Marija, Aleksandra e Marco. Quest’ultimo è morto d’infarto giovanissimo, 17 anni fa, negli Stati Uniti, dove aveva intrapreso con successo la carriera universitaria.
Figlio della dura Dalmazia montana, nasce nel ’24 in un villaggio a monte di Makarska. Ha sei fratelli e l’impronta cattolica militante di una terra che è stata frontiera col Turco. Lavora col padre, con lui scende al mare a piedi con le mandrie da vendere, e impara le astuzie del commercio. Fa gli studi a Osijek, dove esce vivo da un’epidemia di Tifo.
Allo scoppio della guerra viene arruolato nelle milizie di Ante Pavelic alleate di Hitler. Nel ’45 viene catturato dall’esercito jugoslavo e sottoposto con altri “ustascia” a una tremenda marcia nei luoghi dove le forze nazionaliste hanno commesso stragi. I prigionieri vengono mostrati alla gente, e se qualcuno è riconosciuto colpevole, viene passato per le armi sul posto. Vekic sopravvive, non si trova nulla a suo carico.
Dopo la guerra lascia il suo Paese per motivi che svela solo a pochissimi, ma anche per trovare pane per i denti della sua straordinaria intraprendenza.
Si trasferisce in Italia e ne diventa cittadino, stabilendosi a Trieste, dove si sposa nel 1962 con una siciliana di nome Grazia.
Inizia commerciando in tessuti con l’Est Europa, della quale conosce gran parte delle lingue. Ha grande successo e viene assunto come uomo di fiducia dalla famiglia Marzotto che se ne serve come “plenipotenziario” nei Paesi del Patto di Varsavia. Si costruisce a Opicina una villa con rifugio antiatomico e un immenso giardino. Memorabili le sue cene “dalmate” con personaggi di altissimo livello dell’industria e della politica.
Nel 1975 perde la moglie in un incidente stradale. Mate Vekic è alla guida. Nell’auto ci sono anche i tre figli. In condizioni gravissime, con decine di fratture, viene salvato da una clinica svizzera. Nel giro di pochi anni riacquista la piena efficienza fisica. Diventa titolare del Cotonificio Udinese e poi delle Filature di Cairano in Veneto, poi con Carlo Melzi tenta di comprare “Il Piccolo”, ma i Servizi si mettono di mezzo. Trieste non digerirebbe uno jugoslavo a capo del giornale italianissimo. Segue da vicino la guerra jugoslava, vicinissimo ai vescovi di Mostar, Zara e Spalato. Paga il restauro di chiese e ponti abbattuti dai cannoneggiamenti serbi. Si lega a tanta gente semplice, alla quale provvede con generosità. Viaggiare con lui o fare il suo nome in Dalmazia significa avere aperte tutte le porte.
La sua passione è la caccia, impallina montagne di fagiani e beccacce dalla Polonia all’Ungheria. Nella sua casa scaturisce la candidatura di Riccardo Illy alla carica di sindaco di Trieste. Vekic è uomo a volte litigioso e polemico, ma pronto alla generosità. Negli anni del tramonto risente il richiamo della terra, compra una tenuta in Istria e si dà all’ulivicoltura.
«Un grande cuore», racconta Rossana Illy. «Quattro anni fa mi portò, commosso, in un negozio di giocattoli di Zurigo dove suo figlio Marco era solito giocare nelle ore di lavoro del papà». Anche dopo l’ischemia cerebrale non stacca mai dalla vita.
Dal letto della malattia il suo sguardo è sempre proteso verso il bosco e il sole.
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