«Negli anni Ottanta la possibilità poi sfumata di sbloccare l’area»

G.tom.

il dialogo

C’è stato un tempo in cui le istituzioni cittadine e regionali erano già pronte al rilancio del Porto vecchio: la finestra di opportunità si chiuse per il tramonto di una fase politica. Lo racconta l’avvocato Gianfranco Carbone, ai tempi vicepresidente regionale.

Avvocato, il primo tentativo di sblocco del Porto vecchio è di fine anni Ottanta.

Nel 1988 si tenne la conferenza delle Partecipazioni statali a Trieste, alla presenza dell’allora presidente dell’Iri Romano Prodi. In quell’occasione si decise di affidare alle Partecipazioni, e nella fattispecie alla società Bonifica, la progettazione di tutto il fronte mare triestino.

Quindi non solo il Porto vecchio?

Dalla Lanterna a Barcola, ma anche l’area di San Giusto. I coordinatori erano gli architetti Luciano Semerani e Gigetta Tamaro.

Quel progetto era in contrapposizione con Polis?

No, anzi. Quando arrivò Polis fu fatto uno stralcio da Bonifica proprio per includerla. Nel 1991 il Comune, la Regione e il Porto approvarono un Adp che costituiva variante al piano regolatore e recepiva il progetto, ma la Regione sviluppò anche altre iniziative sull’accesso da nord, la riqualificazione di Barcola e piazza Libertà, perché si cercava di inserire Polis in un rilancio urbano complessivo.

Poi cosa successe?

Polis venne meno per diverse ragioni, l’antecedente sede Generali di Mogliano, le divisioni fra Generali e Fiat, di cui scrive Slataper nel libro. Con gli stravolgimenti politici dei primi anni ’90 anche Bonifica venne dimenticata. La classe politica che seguì un po’ non aveva memoria storica, un po’ voleva lavorare su progetti originali.

Le contrarietà politiche erano forti e trasversali.

Ora sono tutti d’accordo, ma allora no. Da un lato la Democrazia cristiana considerava l’area una struttura portuale tipica, tanto è vero che Michele Zanetti teorizzava il famoso canale sottomarino fra Porto vecchio e nuovo. Il Pci che difendeva il lavoro portuale, la compagnia portuale, e riteneva le aree produttive dello scalo come suo terreno elettorale. Poi c’era l’ostilità diffusa della Lista per Trieste, le famose battute sulle vacche di Prioglio.

Che lezione trarne?

Potrebbe costituire motivo di riflessione per l’attuale classe dirigente sulla necessità di riconoscere le tendenze del mondo finanziario, che oggi è molto più forte di quello della politica. La città per attrarre investimenti deve saper leggere le condizioni finanziarie e geopolitiche in cui è inserita. —



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