Niente luci né alcol Il piacere puro del ballo immersi nell’oscurità
C’è una saletta (quasi) segreta, in città, dove ogni settimana è possibile entrare, lasciarsi ogni pensiero alle spalle e muoversi in completa armonia con la musica. Un luogo sicuro e protetto immerso nell’oscurità (quasi) completa dove anche i più timidi possono danzare preoccupandosi solamente di andare a ritmo, senza paura di essere giudicati o importunati. In questo spazio si lasciano scarpe e ansie all’ingresso e si può ballare senza dover bere litri di caffé per stare svegli di notte, senza doversi vestire bene, senza dover tracannare alcool per eliminare le inibizioni e senza che nessun maestro indichi dove mettere le gambe. Ballare per la pura gioia di ballare, come se nessuno ci guardasse.
Dancers in the Dark porta a Trieste, ogni venerdì dalle 19.30 alle 20.30, una pratica nata nel 2009 in Australia e già in voga in molte metropoli del mondo. A diffondere il fenomeno dalle nostre parti ci ha pensato due anni fa un’insegnante di lingua inglese proveniente dalla Nuova Zelanda che preferisce farsi chiamare con il suo nome d’arte: “A nonna mouse”. «Dancers in the Dark è stretching, esercizio fisico, terapia ed evento sociale insieme», racconta. Se il buio completo è impossibile da ottenere, è pur vero che il 95% di oscurità crea forme e silhouette magnetiche. Queste, a loro volta, ispirano movenze prima mai considerate. «Forse alcune persone pensano troppo, hanno difficoltà a lasciarsi andare e si sentirebbero ridicoli alla luce. Ma essere in un ambiente sicuro, in cui tutti ballano senza pensieri e in cui l’unica cosa da fare è muoversi aiuta. Che lavoro fai, chi sei, cosa vesti: tutto questo è cancellato dall’oscurità e dal ritmo della musica». Non c’è dunque una maniera giusta o sbagliata di danzare in questa saletta underground del centro di Trieste (per conoscere l’indirizzo basta scrivere a blackouteventstrieste@yahoo.com), ma un solo imperativo: sentire il battito del proprio corpo. C’è chi salta e chi preferisce muovere solamente la testa; chi si dimena e chi accenna passi di valzer; chi disegna forme con le mani e chi muove il bacino come se fosse in un boliche sudamericano.
Quando le luci si accendono, al termine di questa ora di libertà, i volti si sorridono rilassati e le mani si stringono per fare conoscenza. L’offerta è libera, così come la selezione musicale: armonie che spaziano dagli anni ’20 all’elettronica e provengono da vicino così come da luoghi esotici come l’Africa più profonda, il Giappone o le Isole Cook. Il rock convive gomito a gomito con le sonorità industrial dei Laibach e la disinvoltura di Donatella Rettore: tutta musica che aiuta a scaricare ogni tensione di una lunga settimana lavorativa. Il grande vantaggio di Dancers in the Dark, aggiunge l’organizzatrice, è che per parteciparvi non è necessario un partner. Anzi: tutti ballano da soli e negoziano lo spazio intorno a sé in maniera non verbale.
«La mia più grande soddisfazione è stata vedere ballare un ragazzo cresciuto con una rigida impostazione religiosa a cui, fino a quel momento, non era stato permesso ascoltare altra musica che quella di chiesa», conclude l’attrice neozelandese. «È stata la prima esperienza di ballo nella sua vita. Una volta riaccese le luci in sala, era euforico e ha iniziato ad abbracciarmi commosso».
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