Non usò Era per truffare, assolto Belsasso

Nell’agosto del prossimo anno anche l’ultima delle contestazioni sarebbe finita in prescrizione. A meno di un appello in tempi rapidi e di un’ultima parola della Cassazione altrettanto solerte, congiuntura improbabile, già aveva la “garanzia” di un’assoluzione nel metodo. L’altra sera, però, a chiusura di un processo di primo grado durato quasi tre anni, e di una vicenda investigativa e giudiziaria che aveva mosso i primi passi nel 2008, Fulvio Belsasso si è visto assolvere pure nel merito dall’accusa di truffa aggravata per il conseguimento di contributi pubblici (e privati) e di distrazione degli stessi dalle finalità dichiarate: un milione e mezzo di euro - di cui un milione targato Fondazione CRTrieste, 400mila euro messi dal Fondo Trieste e 215mila dalla Regione - che Belsasso si trovò per le mani da presidente dell’associazione di divulgazione scientifica Globo, capofila della disgraziata operazione di Era. È l’Esposizione di ricerca avanzata mai nata, il cui cantiere naufragò tra le ceneri dell’ex Centro meccanografico di Campo Marzio, dove è annunciato ora il trasloco dell’Immaginario scientifico.
Assolto, insomma, perché il fatto non costituisce reato, sia pure con la formula dubitativa del secondo comma dell’articolo 530 del Codice di procedura penale, la vecchia “insufficienza di prove”. Dalle risultanze processuali, in effetti, non solo non è emersa la minima evidenza che Belsasso si fosse intascato parte di quei soldi, ma non è venuta fuori nemmeno mezza prova che le sue azioni fossero condite dal dolo, ovvero l’elemento “soggettivo”, dirimente ai fini di una condanna per i reati contestati. È dunque prevalsa la linea della buona fede, banalizzando dell’errore non voluto, nella sentenza di assoluzione letta l’altra sera dal presidente del Tribunale penale Filippo Gulotta, che ha pure presieduto il collegio assegnato al processo Belsasso, composto “a latere” dai giudici Marco Casavecchia e Mauro Tomassini.
Gli stessi tre giudici, al termine di una camera di consiglio di tre ore e mezza, non se ne sono usciti con il solo dispositivo di sentenza, rimandando come da prassi al successivo deposito delle motivazioni, ma hanno presentato una sentenza con motivazioni contestuali, chiudendola di fatto qui. Ad ascoltarla c’erano il pm Cristina Bacer in sostituzione del pm Frezza, titolare dell’inchiesta portata avanti a suo tempo dalla finanza, gli avvocati Giulio Quarantotto e Guido Fabretti, i due difensori di Belsasso, nonché gli avvocati Giovanni Borgna, Ivana Busatto e Mauro Cossina, come rappresentanti di parte civile, i primi due per la Fondazione CRTrieste e il terzo per la Regione. «Sono molto soddisfatto dell’esito del processo», si è limitato a dire il difensore storico di Belsasso, l’avvocato Quarantotto.
Oltre a far intuire che l’imputato è stato sostanzialmente tratto in errore da una situazione e da degli interlocutori (i rappresentanti delle istituzioni) che lui appunto, in buona fede, anche per una formazione personale non contabile (è un giornalista scientifico), non ha saputo gestire, la sentenza dei tre giudici di Trieste si permette pure di “suggerire” al legislatore, pur riconoscendo gli sforzi in itinere della Regione, la necessità di cambiare i sistemi di controllo sulle rendicontazioni dei contributi pubblici (rendicontazioni date per fatte nel caso della Globo anche solo “sulla parola” degli stessi interlocutori pubblici che la finanziavano). Controlli definiti ormai “bizantini” e bisognosi di un’applicazione “meno formale e più sostanziale”. È anche con questa “vetustà” del sistema di vigilanza, sostiene il collegio, che si spiega il caso della Globo, capofila peraltro di un consorzio, il Trieste science center, composto in parte dagli stessi enti pubblici finanziatori. «Io quei soldi neanche volevo fosse Globo a gestirli. Quando eravamo indietro con i conti, proprio i referenti degli enti finanziatori ci ripetevano “state tranquilli, è questione di poco tempo”. Non c'è differenza tra le risorse ricevute e quelle impiegate per il cantiere, ci ho anzi rimesso personalmente decine di migliaia di euro. I soldi per il cantiere ora li ha il Comune». Così aveva detto l’anno scorso in aula Belsasso. Una testimonianza che evidentemente (ma non solo quella) ha convinto i giudici.
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