Operaio in cella per associazione mafiosa

Antonio Palumbo, dipendente di una ditta in subappalto a Panzano, arrestato dai carabinieri nell’abitazione di via Fontanot
Di Laura Borsani
Bonaventura Monfalcone-11.03.2014 Operazione caporalato Fincantieri-Carabinieri-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-11.03.2014 Operazione caporalato Fincantieri-Carabinieri-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

Un operaio dipendente di una ditta d’appalto di Fincantieri, nello stabilimento di Panzano, è stato arrestato per associazione di tipo mafioso, nell’ambito del clan camorristico Gionta di Torre Annunziata, dedito al traffico illecito di stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illecito di armi. L’arresto di Antonio Palumbo, di 34 anni, è avvenuto ieri mattina, contestualmente alle misure di custodia cautelare in carcere scattate a Torre Annunziata e a Torre del Greco. Sono infatti otto gli arresti in ordine all’ordinanza che è stata emessa dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Gli otto indagati, in particolare, sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, associazione finalizzata al traffico illecito di droga, estorsione, detenzione e porto illecito di armi, tutti aggravati dalle finalità mafiose. Una disponibilità di armi molto ampia, a fronte di un utilizzo spregiudicato nei confronti dei nemici-resistenti al “pizzo”, ad aggravare l’associazione a delinquere. Tutto, dunque, fa riferimento al “Clan Gionta” radicato nella città campana, «dedito ad una plurarità di attività delittuose - come è stato spiegato dagli inquirenti - e forte di una vasta rete di affiliati».

L’operazione è stata condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Torre Annunziata, in collaborazione con il Nucleo investigativo dei militari di Gorizia.

Una vasta rete specializzata, tra lo spaccio di stupefacenti e la richiesta del “pizzo” imposto a imprenditori e commercianti di Torre Annunziata, costretti a “mantenere” gli affiliati detenuti e le loro famiglie, comprese le spese legali e processuali, nonchè a fornire servizi e prestazioni gratuite. E l’indagine partenopea dunque è approdata a Monfalcone. Dove Antonio Palumbo ha “preso casa” e lavoro nel cantiere navale.

L’uomo è stato arrestato ieri mattina alle 5, quando si sono presentati i carabinieri nella sua abitazione in via Fontanot. In città era giunto sei mesi fa, grazie al posto trovato in una delle ditte di appalto. Un trasloco in un territorio tranquillo, è stato riferito. Il 34enne è accusato di estorsione ai danni di un imprenditore di Torre Annunziata. Fatti, pertanto, ricondotti alla terra campana. Gli inquirenti hanno spiegato, infatti, che tutte le attività illecite si sono consumante a Torre Annunziata e comuni limitrofi. Con ciò, pertanto, escludendo, almeno ad oggi, eventuali “connessioni” con il nostro territorio e con il cantiere.

L’incipit inquirente risale al febbraio 2015, a seguito del tentato omicidio di Giuseppe Leo. Un agguato che aveva sorpreso l’uomo in un’area di servizio in pieno centro urbano di Torre Annunziata. Due killer allora, a bordo di una moto e armati di pistola, avevano esploso diversi colpi di arma da fuoco, uno dei quali lo colpì alla testa. La morte di Leo, ordinata dai vertici del clan, voleva essere esemplare, un monito escaltante: Leo si era infatti ribellato al pagamento di una tangente richiesta quale “regalo di Natale per i carcerati”. Il percorso investigativo ha focalizzato anche l’ascesa criminale di Pietro Izzo, 40 anni, individuato quale capo del gruppo riconducibile a quel clan, esecutore del tentato omicidio di Leo, nonchè referente del giro di estorsioni per conto del sodalizio a Torre Annunziata.

Regole impietose e feroci. Come il pagamento del “regalo per i carcerati” a colpi di intimidazione. Estorsioni a imprenditori e commercianti minacciati all’insegna di “ultimatum” del tipo «se vuoi lavorare tranquillo prepara la busta», oppure «qua ci vuole il regalo di Pasqua», e la raccomandazione di ricordarsi di avere a che dare con “quelli dell’Annunziata”.

Messaggi minatori preannunciati dalla presentazione “mi manda il palazzo”, a far subito capire con chi le vittime avevano a che fare, considerato che il clan Gionta aveva la sua roccaforte a palazzo Fienga. Il rifiuto significava immediata ritorsione. Come nel caso di una società di trasporti che per non aver onorato il “regalo di Pasqua per quelli del palazzo”, nel marzo 2015 era stata danneggiata dai colpi d’arma da fuoco alla sua sede. Mandante sempre Izzo, ha ricostruito sempre l’indagine partenopea. Il 7 aprile sono partiti gli arresti degli esecutori, Salvatore Bonosore e Salvatore Bevilacqua.

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