Passaggio del centro islamico Darus al Comune di Monfalcone, il giudice tavolare blocca la pratica

L’istanza respinta per carenza documentale. Ma l’ente ci riprova allegando stavolta «tutte le carte»

Tiziana Carpinelli
Una preghiera al Darus in una foto d’archivio. Foto Katia Bonaventura
Una preghiera al Darus in una foto d’archivio. Foto Katia Bonaventura

Respinta, in prima battuta. Il giudice tavolare Stefano Bergonzi ha rigettato l’istanza formulata dal Comune di Monfalcone nella sfera del procedimento di acquisizione al patrimonio indisponibile di una parte, la più ampia, dell’immobile al civico 28 di via Duca d’Aosta. Tradotto: il centro culturale islamico Darus Salaam.

Un open space di 155 metri quadrati, con disimpegno e bagni. Il Comune ora ci riprova: il rigetto «determinato da carenza documentale», spiega il segretario generale Luca Stabile, ha mosso l’ente a «rinnovare la domanda» una decina di giorni fa, allegando ora «tutta la documentazione, sentenze comprese». L’istanza è in fase di istruttoria. «Attendiamo il decreto», afferma Stabile.

Come ampiamente annunciato, l’amministrazione comunale, appunto attraverso il segretario generale, ha avanzato domanda per l’intavolazione del diritto di proprietà su quello spazio. Il passo dopo che, a seguito delle due sentenze definitive del Consiglio di Stato, speculari e favorevoli all’ente, il Comune aveva emesso un verbale di accertamento di inottemperanza rispetto all’ordinanza dirigenziale “madre” del 15 novembre 2023: il casus belli, punto d’innesco del contenzioso. Che per il Darus, come pure per il Baitus Salat (non di proprietà, però, dell’omonima associazione), chiedeva il ripristino delle destinazioni d’uso originarie dell’immobile, così come inquadrate nel vigente Piano regolatore. Insomma, niente più preghiere collettive, fine delle salàt di massa.

Invece, stando ai controlli della Polizia locale e ai conseguenti 15 verbali redatti, lì si era continuato a pregare nei 90 giorni successivi (e oltre) all’emanazione del provvedimento di due anni fa, siglato dal dirigente Marco Marmotti. Sicché il Comune aveva deciso di procedere all’acquisizione dell’immobile ai sensi dell’art. 45 della legge regionale 9 del 2019, a fronte di abusi edilizi, come nel caso di un cambio di destinazione d’uso senza titolo. E sempre se, recita la norma, il responsabile «non provvede alla demolizione e al ripristino» o «non presenta istanza di sanatoria», nel termine di «90 giorni dall’ingiunzione».

Nel suo decreto tavolare il giudice Bergonzi prende atto che «sulla vicenda vi sono state diverse pronunce in sede giurisdizionale, elencate nel verbale di accertamento dell’inottemperanza». Ma «tali provvedimenti non sono stati depositati unitamente alla domanda». Quindi «non è possibile conoscere l’esito dell’istanza cautelare», riferita ancora al primo grado, di impugnazione dinanzi al Tar (qui invece favorevole ai due centri) per l’annullamento dell’ordinanza dirigenziale, appunto previa concessione della misura sospensiva. Né dunque si può «stabile con certezza il dies a quo», il giorno a partire dal quale si calcola «il termine di 90 giorni», cui fa riferimento l’art. 45 della legge regionale 9.

C’è un ulteriore punto rilevato dal giudice, relativo al comma 4 della norma in questione: l’accertamento dell’inottemperanza deve essere eseguito da soggetti indicati dalle disposizioni stesse e concludersi con «la sottoscrizione del relativo verbale da parte del responsabile dell’abuso o, in difetto, con la notifica del verbale medesimo». E tuttavia, «esaminata la copia conforme» di quest’atto di accertamento, «non si rinviene né la data né il numero di protocollo», dati «solamente dichiarati nella domanda tavolare».

«Non risulta pertanto possibile – scrive il giudice – stabilire un collegamento univoco tra il citato provvedimento e l’avviso di ricevimento allegato alla domanda, rimanendo di conseguenza non provata la notifica del verbale». Alla luce di queste considerazioni, il rigetto. Che fa «ben sperare» il legale del Darus, Vincenzo Latorraca: non ha ancora provveduto a notificarlo, ma ha già messo i ferri in acqua per l’impugnazione al Tar del «provvedimento con cui il Comune pretende di acquisire al patrimonio l’immobile del centro Darus Salaam». È tesi dell’avvocato che «in realtà non siano neanche decorsi i termini dei 90 giorni», da far valere, secondo la sua interpretazione, «dalla sentenza definitiva, cioè quella di Palazzo Spada, del 2 aprile». Infatti «non si può scordare che il primo grado aveva annullato l’ordinanza dirigenziale e la sua efficacia ex tunc», cioè da quel momento, e che «questa aveva ripreso reviviscenza solo a partire dall’ultima e definitiva sentenza». Inappellabile.

Oltretutto «va provato che nel periodo c’è stata violazione»: invece, mentre nei primi 14 verbali è riferita una consistente mole di persone, centinaia, «intente a pregare collettivamente» nell’ultimo, successivo alla sentenza del Consiglio di Stato, ne vengono «annoverate solo 30-35». E possono considerarsi il fatidico carico urbanistico? No, ritiene Latorraca.

Diverso il discorso sul «diritto di preghiera», che «non trova soddisfazione»: qui l’intenzione è di «adire la Corte europea dei diritti dell’uomo», per la presunta violazione. La vicenda è lungi dall’aver trovato un punto.—

 

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