Pentiti di mafia nascosti a Trieste, da mesi Roma non paga gli affitti
Il Servizio di protezione non paga gli affitti degli appartamenti in cui vivono a Trieste una decina di pentiti di mafia e camorra.
L’agenzia immobiliare, che attende il denaro da almeno sette mesi, ha protestato più volte con l’Ufficio regionale di Udine che gestisce in tutta la regione i collaboratori di giustizia mimetizzati in mezzo alla gente con una nuova identità personale.
«I soldi arriveranno», affermano i funzionari del servizio interforze in cui sono presenti carabinieri, finanzieri e poliziotti. In sintesi cercano di rassicurare sui pagamenti i titolari delle agenzie, pressati a loro volta dai proprietari degli alloggi che rivendicano il loro denaro senza nemmeno sapere chi si mimetizza nell’appartamento messo a disposizione dello Stato.
Di recente è stata pagata una sola mensilità dei mesi e mesi di affitti rimasti insoluti, probabilmente per tentare di tacitare le controparti. «I soldi ci sono ma per il momento sono utilizzati per altre emergenze», hanno spiegato i funzionari senza però fornire ulteriori dettagli. A breve scadenza questa “tregua” è destinata a finire e potrebbero scattare gli sfratti per morosità che inevitabilmente porterebbero in superficie in un’aula di giustizia civile situazioni che hanno assoluto bisogno di riservatezza e tranquillità.
Il mancato pagamento di tante mensilità di affitto non coinvolge solo Trieste e la regione. Altre analoghe voci di protesta si sono levate contro lo Stato e il Governo dall’altra parte della “barricata”. Non dai titolari delle agenzie immobiliari, bensì da chi, fornendo dettagli e svelando segreti alla Magistratura, vive negli alloggi affittati dallo Stato.
Un gruppo di collaboratori di giustizia siciliani e calabresi inseriti nel Programma di protezione e in attesa di deporre in qualche processo di mafia si è fatto avanti attraverso i propri legali, denunciando una situazione limite. Non solo gli affitti non vengono pagati alle scadenze stabilite dai contratti e gli arretrati si sommano agli arretrati, ma anche i collaboratori si sono trovati privi di assistenza sanitaria per sé e per le proprie famiglie che evidentemente non possono più usare i loro veri nomi e cognomi nei rapporti con le amministrazioni pubbliche.
Ma anche gli avvocati dei pentiti di mafia e camorra da almeno sei mesi non vengono più pagati dallo Stato perché i fondi destinati alla gestione del comparto sicurezza - pentiti e testimoni e relativi processi - sono stati progressivamente ridimensionati. Nel 2008 erano disponibili 52 milioni di euro; nell’anno successivo il Governo li ha ridotti a 49; nel 2011 si è verificato il crollo e i milioni sono diventati 34. Un “taglio” del 35 per cento. I dati sono stati forniti al Parlamento dal sottosegretario Alfredo Mantovano.
I disservizi in effetti si stanno accentuando e gli addetti alla sicurezza di questi “collaboratori dello Stato” quotidianamente devono sopperire personalmente col proprio impegno alle manchevolezze e ai ritardi. Va aggiunto che il Ministero dell’Interno ha fornito in Parlamento cifre e statistiche. I collaboratori di giustiszia sono più di 1100, ai quali vanno aggiunti circa quattromila familiari.
L’ultima relazione del ministro Roberto Maroni segnalava che la loro “protezione” è affidata a più di 32 mila agenti di scortae. Le aree scelte per la mimetizzazione di chi ha deciso di “vuotare il sacco”, in buona parte sono dislocate nel Nord Italia, specie nel Triveneto. Ma anche in Toscana. Ecco un esempio.
Oltre a non pagare gli affitti, lo Stato di questi tempi non paga nemmeno il conto degli alberghi dove sono “posteggiati” pentiti e testimoni. La denuncia viene da un poliziotto fiorentino, sindacalista del Siulp. «Molte strutture alberghiere di Firenze e della Toscana ma anche privati cittadini, attendono da mesi il pagamento di decine di migliaia di euro».
I crediti che gli albergatori vantano nei confronti del ministero dell’Interno si riferiscono all’affitto di camere e appartamenti “in uso a persone che si trovano sotto programma di protezione”. Cioè appunto i pentiti o i testimoni di giustizia. «Queste situazioni riducono i poliziotti a cui è affidata la gestione di collaboratori e dei testimoni al ruolo di pacieri tra lo Stato che non paga e i creditori che giustamente sono infuriati».
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