Piano paesaggistico blocca il cantiere L’impresa fa causa: Regione ko al Tar

Prevista sul terreno “conteso” la realizzazione di 6 palazzine ma l’ente l’aveva classificato come area non edificabile
Lasorte Trieste 12/08/19 - Via Bonomea, Via Bruni, Case, Aree Verdi
Lasorte Trieste 12/08/19 - Via Bonomea, Via Bruni, Case, Aree Verdi



Due “granchi” presi dal Piano paesaggistico nella classificazione dei terreni a Trieste. Nell’arco di pochi giorni il Tar ha dato per due volte torto alla Regione in altrettante cause in cui veniva impugnato il Piano regionale, strumento di pianificazione essenziale per salvaguardia e gestione del territorio, approvato lo scorso anno.

La sentenza più rilevante (dell’altra riferiamo nell’articolo in basso) riguarda il ricorso presentato da un’impresa triestina, la Botta Group Constructions Srl, che aveva acquisito un vasto terreno in precedenza appartenuto, prima del fallimento, ai fratelli Perco. Un appezzamento collinare posizionato in una delle zone panoramiche più suggestive della città, delimitato dalla Strada del Friuli e dalle vie Bonomea e Bruni.

Il terreno è già circondato da lotti edificati e da tempo era stata progettata la costruzione, da parte dell’impresa, di 6 nuove palazzine residenziali di pregio. Il progetto è pronto e gli investimenti previsti – come conferma l’avvocato Giuseppe Sbisà, che ha curato il ricorso – sono milionari. Ma nella primavera dello scorso anno si è materializzata una brutta sorpresa dopo il via libera al Piano paesaggistico regionale (approvato con decreto presidenziale del 24 aprile): si è scoperto che il terreno era stato inserito nell’area qualificata come “Paesaggio dei parchi e aree verdi urbane”, dunque non edificabile.

La Botta Group Constructions è subito corsa ai ripari ricorrendo al Tar. Ricorso fondato anzitutto su un motivo: «Il terreno, pur collocato in una zona di interesse pubblico, non è assoggettabile a tutela – era la premessa –, perché pertinente a un rione cittadino residenziale, caratterizzato da una graduale perdita delle aree verdi e dalla costruzione di molti edifici condominiali anche di grandi dimensioni nella parte inferiore della collina lungo le principali arterie che la attraversano, Salita Madonna di Gretta, Strada del Friuli, e via Bonomea, un reticolo di strade e vie secondarie anch’esse intensamente edificate». La densità degrada salendo verso le porzioni più elevate, con case, ville e piccoli condomini circondati da giardini e spazi verdi.

Secondo i ricorrenti la scelta di classificare il terreno includendolo tra quelli inedificabili sarebbe stata quindi «incongrua e illogica», perché «in chiaro contrasto con la consolidata situazione dei luoghi», considerando «la presenza di un contesto urbano, per larga parte edificato, privo di significativi valori paesaggistico-ambientali».

Dopo che l’amministrazione regionale si era costituita in giudizio, il Comitato tecnico per l’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico, nella seduta del 31 gennaio, aveva escluso che ci fossero i presupposti per un aggiornamento, confermando la classificazione del terreno in quanto considerato parte restante di un assetto storico-territoriale e paesaggistico meritevole di tutela.

Nella sentenza del Tar (presidente Oria Settesoldi) si conclude che l’inclusione del terreno nel “Paesaggio dei parchi e aree verdi urbane” non appare «sorretta da necessari presupposti di logicità e coerenza». Secondo il Tribunale amministrativo «la pur apprezzabile esistenza di un interesse pubblico, finalizzato alla conservazione del contesto paesaggistico ambientale, non consente di vanificare del tutto la connessione dell’area con il tessuto urbano e lo stretto legame che la riunisce al contesto circostante, mutuandone funzioni e destinazione». Insomma, quel terreno, per le sue caratteristiche, non poteva essere considerato come area non edificabile. Sempre secondo la valutazione dei magistrati, non ci sono «elementi di pregio ambientale sufficienti a sancire il regime di sostanziale inedificabilità del terreno».

«In questo caso eravamo chiaramente di fronte non a un disguido di natura cartografica, ma a una valutazione erronea delle caratteristiche del terreno – commenta l’avvocato Sbisà –. Errore che aveva portato al suo inserimento tra le aree non edificabili. La perizia tecnica che abbiamo illustrato a sostegno del ricorso ha permesso di chiarire che quel terreno ha invece tutti i requisiti necessari per l’edificabilità». —



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