Pilat, un “mulo” di 75 anni che non sogna la pensione

Il cantautore: «La musica mi ha aperto un mondo. Quella volta che mi sono intrufolato tra i Beatles. Quale ritengo che sia la canzone perfetta? Semplice:“Fin che la barca va”»
BRUNI TRIESTE 06 04 08 PILAT AL ROSSETTI
BRUNI TRIESTE 06 04 08 PILAT AL ROSSETTI

Ricorrenza speciale per un protagonista assoluto della storia della musica nazionale e internazionale e autore di successi senza tempo. Compie oggi 75 anni Lorenzo Pilat. Con altri due autori storici (Pace e Panzeri) e da solo, ha composto hit planetarie tra cui la versione inglese de “Alla fine della strada” incisa da Tom Jones (oltre 10 milioni di copie vendute). Ma come dimenticare brani entrati nel Bignami della canzone italiana come “Nessuno mi può giudicare” (4 milioni di dischi e più di un milione con “Quant'è bella lei”, “Non illuderti mai”, “Alle porte del sole”)?. Nonostante gli incredibili numeri, l'autore di “Finchè la barca va” non ha nessuna intenzione di tirare i remi in barca.

«Sono sempre pronto a scrivere se trovo spunti interessanti. Sono soddisfatto di quanto ho fatto e voglio finire la carriera in bellezza. La mia vita è stata completata dalla musica, che mi ha aperto un mondo. Mi ci sono dedicato interamente». Tanti i progetti, a partire dal concerto del 6 luglio a Gorizia in occasione di “Vinylgo” nell’area del Museo S. Chiara. «Dopo aver coinvolto il pubblico con le più note arie popolari ricorderò la nascita della “musica in scatola” con un medley dei brani dell'epoca d'oro del juke box. È stato rivoluzionario: per la prima volta i giovani potevano selezionare la musica che volevano ascoltare». In vista anche un libro. «Ma non la solita autobiografia: vorrei parlare di musica e non troppo di me e raccontare qualche aneddoto». Come l'incontro con i Beatles a Milano. «Alloggiavano all'hotel Duomo e sotto c'era una gran folla, ma fingendomi un cliente mi feci largo e salii. Mi intrufolai alla conferenza stampa e chiesi a John Lennon se non si fossero ispirati al country, citando gli Everly Brothers. Lui ammise un po' seccato, osservando che in fondo lo facevano un po' tutti. Conservo gelosamente gli autografi». La maggiore soddisfazione? «Ero in auto e ascoltavo la radio quando sentii “Love me tonight”: ma questa è la canzone che abbiamo presentato a Sanremo, esclamai. Non sapevo che Tom Jones ne avesse fatto una cover ancora trasmessa dappertutto». Ma il momento più bello «è stato quando vinsi lo Stivaletto d'argento alla Dreher. Per potermi permettere l'orchestra ci lavorai un mese come cameriere e i colleghi mi aiutarono esortando i clienti a votarmi. Cantai “Tintarella di luna” e “Stupid cupid”. Ogni birra dava diritto a un voto. Mio padre ne ordinò dieci. Mi ha stimolato a tentare altri concorsi finchè a Udine conobbi Vittorio Salvetti che poi mi presentò a Celentano. Iniziai la carriera di autore per riuscire a ottenere un po' di spazio». Celentano «l'ho sempre stimato per la grande carica che sa trasmettere e lo ha sempre identificato, un po' meno come autore».

Pilat ha saputo rivitalizzare la canzone popolare triestina con una spruzzata di rock. «Ho pubblicato 6 cd che raccolgono tutti i brani che si cantano ancora oggi. Il folclore non è per i nostalgici, le canzoni arrivate fin qui sono quelle scelte dalla gente. I giovani che mi seguono da tanti anni iniziano cantando Vasco e finiscono con “La mula de Parenzo”. Ma anche alcuni pezzi nuovi sono già classici, come “Toio”». Il segreto di un brano di successo? «Dev'essere cantabile e le parole devono avere un suono musicale, come una poesia. Un esempio? “Fin che la barca va” è in endecasillabi, come la Divina Commedia».

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