Pochi “sfigati” in Ateneo Il 75,3% degli studenti si laurea nei tempi giusti

Mattia Fadel contesta l’affermazione del viceministro: «In Italia ci mettiamo di più perchè costretti a lavorare»

di Gabriella Ziani

Dall’accusa (contestatissima) di essere degli “sfigati” che il viceministro del Welfare Michel Martone ha lanciato ai giovani che non si laureano prima dei 28 anni, Trieste si sfila. Quanto meno è nella media nazionale, e spesse volte per qualche decimo di punto gli studenti universitari sono un po’ più lepri, ce la fanno prima. E le percentuali dei “fuori corso” sono bassissime.

L’età media dei laureati 2010 per la laurea triennale è stata di 25,7 anni. Si direbbe conseguita con molto comodo, ma la media nazionale è di 25,9. Per la laurea specialistica (biennio successivo) 27,3 anni, a un pelo da quei maturi 28 così pubblicamente sprezzati (ma anche qui la media nazionale è di 27,5).

I ”fuori corso” sono a Trieste di meno rispetto al resto d’Italia nelle lauree a ciclo unico: si laurea regolarmente il 75,3% degli studenti a fronte del 62,7. Nel 2009 era andata ancora meglio, col 78,2. E anche le triennali si difendono: quasi il 69% rispetto al 63,2 (ma in lieve peggioramento rispetto al 2009). Fuori tempo massimo invece i ragazzi del biennio specialistico se confrontati con gli altri atenei: l’82,1% è puntuale contro l’83,8. Nel 2009 risultati invece ancora migliori e gli iscritti triestini avevano toccato l’88,6 superando il resto d’Italia di 1 punto percentuale.

Dove Trieste va un po’ sotto è nelle lauree a ciclo unico (tra cui Medicina, Giurisprudenza): si esce dall’università a 26 anni e 8 mesi in media, i colleghi del resto d’Italia li battono, si fa per dire, di soli due mesi. E mentre i colleghi a ciclo spezzato vanno molto più all’estero rispetto a quelli di altri atenei, il ciclo unico risulta invece stanziale al massimo: la percentuale nazionale è del 17, quella triestina dell’11.

«Espressione palesemente infelice quella del viceministro - commenta Mattia Fadel, presidente del Consiglio degli studenti -, ogni studente può avere motivi personali per finire fuori corso. Ma comunque nel bene e nel male il caso calamita l’attenzione sul sistema dell’alta istruzione in Italia: noi studenti italiani impieghiamo più anni per laurearci rispetto ai colleghi europei. Il motivo? L’Italia investe meno nell’università, ci sono condizioni economiche disagiate, molti miei colleghi lavorano per pagarsi gli studi. Ma c’è anche un altro fatto - prosegue Fadel -, molti possono essere rallentati dalla scarsa possibilità di trovare lavoro una volta laureati. E forse (pur avendo tutti diritto di accedere all’istruzione universitaria) c’è qualcuno che dice “provo”, mentre negli altri Stati europei la selezione è spesso più rigida e inizia alle medie e superiori. In ogni caso, esiste la tendenza tutta italiana a ritardare l’uscita dal nucleo familiare e la costruzione della propria indipendenza».

Infine c’è un altro fatto da considerare, e le statistiche di ateneo lo raccontano, sulla scorta di queste osservazioni: quanti studenti per davvero lavorano mentre fanno anche esami? In quasi ogni fascia studentesca attorno al 70%. In misura più ampia, sostanzialmente, se confrontati con la statistica nazionale. In tempo di lavoro precario, i giovani futuri dottori fanno anche i baristi, i commessi, i fattorini. «Non credo - conclude il rappresentante degli studenti - che siano molti quelli che fanno lavoretti per pagarsi maggiori “sfizi” e così rallentare gli studi. Anche se ogni storia è a sè, spesso quei soldi servono».

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