Polizia, arrivato Gropuzzo dopo una vita spericolata

di Corrado Barbacini
Dopo il “Galilei”, all’Università Paolo Gropuzzo era soprannominato il commissario per la sua attitudine alla difesa dell’ordine sociale e della giustizia. Forse per questo ha poi scelto una carriera spericolata diventando comandante deli Nocs, il Nucleo operativo centrale di sicurezza, la task force sorta per contrastare il terrorismo.
È stato capo di un nucleo operativo formato da un centinaio di agenti addestrati esclusivamente per intervenire sul campo, per risolvere episodi di terrorismo, sequestri, conflitti con deliquenza comune o cosche mafiose. Ha organizzato interventi “lampo”, con finali possibilmente indolori. Come quello del 1982, anno del rapimento del generale statunitense James Lee Dozier, comandante Nato rapito dalle Brigate Rosse e liberato dopo 42 giorni di prigionia a Padova in un’operazione dei Nocs divenuta storico.
Da ieri Gropuzzo, 53 anni, è a Trieste come Questore vicario, il numero 2.
Insomma da Rambo in giro per l’Italia a salvare quelli effettivamente in pericolo a mediatore a Trieste. Perché da ieri il lavoro di Paolo Gropuzzo è proprio quello di gestire la complessa macchina organizzativa della Questura ma anche e soprattutto l’ordine pubblico. Non dovrà salvare ostaggi in mano ai terroristi. Dovrà piuttosto trattare con i sindacati. E dovrà pensare alla prevenzione ovvero alla vivibilità di Trieste. Dovrà fare in modo che la gente viva tranquillamente e che le tensioni sociali non alterino la qualità della vita di questa città.
Ride di gusto e poi risponde: «Sarà così. Nel ’95 avevo fatto un corso con l’Fbi. Mi hanno insegnato i segreti della trattativa in caso di ostaggi. È vero che la carriera l’ho fatta alla Squadra mobile e allo Sco (Servizio centrle operativo). Ma ho fatto tantissimo ordine pubblico. Mi sento sempre operativo. E assumere il ruolo di vicario in questa città mi fa veramente onore».
Allora è contento di essere qui?
«Non lo nascondo. Per me tornare a casa è una grande soddisfazione. Qui vivono mia mamma e mia sorella. Qui ho fatto liceo e università. Mi sono sempre sentito triestino e non ho mai mascherato la triestinità. Non mi sono mai sentito a mio agio in nessuna altra città».
Non è allora un addio alle armi, all’operatività?
«Neanche per sogno. È solo un lavoro diverso».
Come vede Trieste?
«Molto migliorata. È molto più vivibile degli anni scorsi. Qui sono sempre venuto anche se per pochi giorni. E poi ho sempre seguito i fatti cittadini. Devo dire che ho fatto proselitismo. Tanti colleghi sono incantati dal fascino scontroso di questa città. Trieste è stata la primo porto dell’impero austrungarico e ahimè non lo è certo dell’Italia. Ma qui non ci si rende conto come per certi versi riusciamo a ancora a mantenere la soglia d’allarme ovvero la sicurezza e la tranquillità in questa città».
Ha ancora tanti amici?
«Sì, tra questi anche il pm Federico Frezza. Il padre di Frezza era il migliore amico del mio. Mio padre era un giovane primario dell’ospedale Maggiore. Mi ricordo dei viaggi con Frezza in Europa dopo i diciotto anni. Certe cose che ci legano sono per affinità di spirito. La nostra professione è di servire la collettività. In questo senso i nostri sono due lavori quasi identici. Anche se i ruoli e le funzioni sono diverse».
Cosa è successo quando questa mattina è entrato in Questura?
«Sono stato accolto dal questore Giuseppe Padulano e dal capo di gabinetto Leonardo Boido. Padulano mi ha presentato a tutti i funzionari. Poi mi ha aperto la porta dell’ufficio. Mi ha detto: Benvenuto. Sono contento».
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