Porto di Trieste sulla Via della Seta

TRIESTE. Trieste è in possesso degli strumenti sufficienti per diventare il principale capolinea mediterraneo della nuova Via della seta aperta dal Governo cinese, a incominciare dai suoi Punti franchi che non hanno eguali all’interno dell’Unione europea. È la sostanza dell’incontro “Italia, porto di Trieste e sogno cinese” che si è svolto ieri alla Stazione marittina dinanzi a un pubblico strabocchevole, organizzato da Limes club Trieste in collaborazione con il Centro Veritas e la Libreria Einaudi. L’inquadramento generale è stato fatto da Lucio Caracciolo, direttore di Limes.

«Il nuovo piano infrastrutturale e la decisione di aprire nuove Vie della seta - ha spiegato Caracciolo - sono dettati da necessità interne alla Cina e da un’economia in crisi (il Pil cresce di “solo” il 6,5% rispetto al 10% di qualche anno fa) a causa della corruzione presente nelle aziende di Stato e della sovraproduzione. Da qui la necessità di aprire nuovi mercati anche per ridurre la distanze con la Cina più povera collocata soprattutto nella parte a Nord-Ovest, nel tentativo di aprire una globalizzazione mondiale alla cinese.
Allo scopo è stata già aperta una Banca dotata di 100 miliardi di dollari assieme a 56 Paesi».
Ora Pechino punta al Mediterraneo dopo l’ampliamento di Suez. «Qualche tempo fa i cinesi hanno sondato Taranto - ha riferito Caracciolo - ma il sindaco non li ha nemmeno ricevuti e quando hanno visto lo stato delle infrastrutture hanno corretto il tiro. Le prime carte indicavano Venezia come punto di approdo, ma anche in questo caso si sono resi conti che i progetti di rafforzamento (presumibilmente la piattaforma off shore, ndr,) sono ancora troppo indietro. Dunque anche Venezia è scomparsa dalle carte sulle quali ora appare soltanto il Pireo, porto che i cinesi hanno già acquistato. Sta ora all’Italia - ha concluso il direttore di Limes - decidere cosa offrire loro».
A Trieste interessa la sfida? «Se si tratta di diventare un semplice punto di passaggio dei traffici la questione non è molto affascinante - ha risposto Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale - ma se entra in gioco forte valore aggiunto per il territorio ritengo - ha proseguito - che abbiamo qualche arma in più rispetto agli altri porti dell’Adriatico e italiani in genere perché nei nostri Punti franchi si possono svolgere con una serie di vantaggi attività logistiche, ma anche manifatturiere e industriali in genere».
Trattative in questo senso, ha accennato D’Agostino sono in corso non soltanto con player cinesi, ma anche americani, tedeschi, austriaci e altri ancora. «Ai cinesi stiamo spiegando e loro lo stanno comprendendo forse già meglio di noi - ha specificato - che venire a produrre merci a Trieste può portare non solo vantaggi doganali, ma anche l’opportunità di “brandizzare” in modo qualificante i prodotti dei settori in cui l’Italia ha un ruolo importante».
«È lo stesso governo cinese - ha aggiunto Roberto Visintin, presidente degli spedizionieri del porto - a invocare una standardizzazione delle procedure doganali lungo tutte le Vie della seta e in attesa che ciò avvenga la costituzione di free zone all’interno dei principali porti. A Trieste oltre alle varie agevolazioni che già esistono nei nostri Punti franchi sono ora possibili anche le lavorazioni industriali».
E il nuovo modo di considerare i dati del porto è insito anche nelle ultime note di Trieste marine terminal che gestisce il terminal container: i teu, 449.481, crescono solo dell’1,6%, ma quelli pieni aumentano dell’8,9% e il traffico in import, dopo anni di segno avverso, ha superato le esportazioni. I servizi ferroviari sono aumentati del 26,5% relativamente ai volumi trasportati.
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