Prosecco, la porta dell’Est lasciata alla ruggine

La stazione di Prosecco è sprangata. Malgrado i cartelli stradali che la indicano inizino nelle vie di Opicina e se ne contino ben sette, il fantasma ferroviario resta chiuso. Frazione stazione di Prosecco 1: l’indirizzo evoca ancora il nome dell’edificio cancellato dalle Fs, ma la biglietteria, l’ufficio movimenti e la sala d’aspetto hanno negli spettri gli unici inquilini. Del fabbricato, inaugurato nel 1857 a servizio della linea Meridionale o Südbahn che lo congiunge tuttora con la Slovenia, l’Austria e la pancia dell’Europa da una parte, e con la Penisola (lungo la direttrice Veneto-illirica) dall’altra, si sono salvati due appartamenti al primo, nonché ultimo piano. Ci abitano altrettante famiglie di ferrovieri. «Prima della nascita del nodo di Villa Opicina, eliminato dalle mappe ferroviarie del servizio viaggiatori nel dicembre 2011 e ridotto a uno scalo merci, Prosecco era la porta dell’Est», racconta l’ingegner Roberto Carollo, arca della memoria ferroviaria della regione. Si trattava dell’ultima stazione a filo di frontiera sull’odierno territorio italiano. Poi l’autostrada di ferro proseguiva (e prosegue) verso Vienna, via Lubiana-Graz. Davanti alla stazioncina degli spiriti di Prosecco i binari sono elettrificati e funzionano, ma i treni passeggeri non rombano più.
La galassia di un abbandono tremendo si disegna però nell’immenso spazio intorno all’antica costruzione. A pochi passi sorge una casetta nascosta dall’offensiva della vegetazione, ancora di proprietà delle Fs. Dei suoi quattro alloggi, un tempo riservati ai dipendenti della stazione, oggi ne è occupato uno. Ci abita una signora 64enne che ha lavorato nella contigua agenzia doganale ferroviaria. La donna – che preferisce non dire il proprio nome - rievoca dalla memoria di decenni quattro ditte di spedizioni con sede lì accanto. Si occupavano dello sdoganamento del bestiame su rotaia: Italsempione, Gottardo Ruffoni, Tommaso Prioglio e Fratelli Prioglio i loro nomi. Oggi sopravvive solo la Fratelli Prioglio. Gli enormi capannoni di cemento delle altre tre sono stati destinati alla ruggine. E c’è anche dell’amianto, aggiunge.
L’ex impiegata dell’agenzia doganale mostra nei resti della Gottardo Ruffoni un museo del decadimento. Prima del cancello che porta al tempio del degrado, t’imbatti in una montagna di binari smantellati. Di tanto in tanto, come un tuono, passa qualche treno merci e, oltre la strada ferrata, senti abbaiare cani dalle villette vicine che si chiamano fra loro. Poi, oltrepassata la cancellata, una cortina di silenzio. Fabbricati abbandonati come balene spiaggiate, ruderi e sterpaglia sono quel che resta della vecchia agenzia. Nel luogo spettrale vecchi brandelli di documenti, stalle, mangiatoie e grossi anelli di ferro a cui venivano legate le bestie condannate a morire. A seguito dell’arretramento dei confini nell’immediato secondo dopoguerra, il traffico del bestiame venne dirottato dall’allora trafficatissima stazione di Villa Opicina sui quattro binari che correvano davanti a quella di Prosecco. Tempi in cui vi fermavano 200 o 300 carri merci al giorno. Oggi, i binari sono due e desolati.
Gli animali arrivavano dall’Europa dell’Est e a Prosecco giungevano commercianti delle più importanti aziende italiane per scegliere il bestiame da acquistare. Alla fine degli anni Ottanta, però, il traffico di carne su gomma soppiantò quello su rotaia e il mercato italiano si orientò verso l’importazione francese.
La “donna della dogana” narra anche che, visto l’enorme traffico e a fronte di continue richieste di potenziare l’efficientissimo scalo, vennero costruiti un magazzino-frigorifero e numerosi fasci di binari. I tempi d’attesa furono biblici (circa 15 anni) e si rivelarono inutili, poiché la stazione di Prosecco venne soppressa e le rotaie poi rimosse.
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