Quando Pannella arringava il Consiglio comunale a Trieste

TRIESTE. Correva l’anno 1978. Giovane scrutatore alla prima esperienza “politica” mi stupivo della candidatura al Consiglio comunale di Trieste di due big quali il leader del Movimento sociale italiano, Giorgio Almirante e del leader dei radicali Marco Pannella. Quello che mi stupì di più fu scoprire che sulle liste che avrei dovuto scrutinare il nome del Pannella nazionale aveva una dicitura “strana”, ossia “Pannella Giacinto detto Marco”. Ed entrambi furono eletti e sedettero sui banchi di palazzo Cheba. La lista radicale ottiene il 6% dei voti e determinò l'elezione del primo sindaco non democristiano nella città. Primo cittadino, infatti, risultò Manlio Cevovini, espressione della Lista per Trieste che in quella tornata elettorale ottenne il 27% dei suffragi. A Trieste erano gli anni difficili del Trattato di Osimo della Zona franca industriale sul Carso, del municipalismo che affondava i partiti tradizionali.
Manlio Cecovini, Marco Pannella e Giorgio Almirante, nel Consiglio comunale eletto nel 1978 sull'onda, come detto, della rivolta civile suscitata dalla firma del Trattato di Osimo questi tre personaggi politici tenevano banco, mostravano ai triestini l'abisso tra l'oratoria e gli argomenti di chi era o sarebbe stato parlamentare e chi avrebbe concluso localmente la propria carriera politica. «Io sono sloveno» aveva esordito il leader radicale.
A Trieste all'epoca la febbre politica era alta, pari solo all'indignazione della maggioranza dei cittadini messi di fronte al fatto compiuto di un accordo che avrebbe dovuto consentire sul Carso l'istituzione di una Zona franca industriale, italo-jugoslava. C'era chi soffiava sul fuoco di una possibile invasione di operai serbi richiamati dalle nuove industrie che avrebbero dovuto sorgere sull'altipiano, c'era chi puntava sulla salvaguardia di un ambiente unico come il Carso e c'era chi chi criticava o meglio puntava il dito accusatore sul metodo "romano" di aver nascosto alla popolazione ciò che si stava trattando, svendendo per sempre anche l'Istria.
Tra queste diverse voci, peraltro spesso dissonanti Manlio Cecovini ha compiuto un'opera di sintesi, un piccolo capolavoro politico-umano di ripudio del razzismo, di salvaguardia dell'Italianità, dell'apprezzamento delle realtà locali e municipali che non doveva, nella sua visione, preludere al secessionismo, al ritorno impossibile, ma da altri perseguito, a un Territorio libero ormai bocciato della Storia.
Quelle riunioni dei consigli comunali in cui prendevano la parola in un'aula zeppa di triestini spesso accaldati, Pannella e Almirante, venivano diffuse in diretta da Telequattro e da Radio radicale che aveva una sede e un proprio trasmettitore a Trieste nei pressi del quadrilatero di Rozzol Melara. Manlio Cecovini in quegli anni veniva intervistato e fotografato in piazza dell'Unità dai maggiori rotocalchi non solo italiani. Stava nascendo un nuovo modo di fare politica e lui lo aveva capito.
E Pannella Giacinto, detto Marco, in questa sorta di magma politico ci sguazzava. Dominava la sua capacità oratoria, il suo saper fondere l’orizzonte locale con quello transnazionale. Al punto ch elo stesso leader radicale, in un comizio elettorale per le elzioni europee del 1984, tenuto a Trieste non ebbe paura di affermare ch ei radicali vogliano associare la Jugoslavia alla Cee (poi diventata Unione europea). «Noi chiediamo che si proponga formalmente alla Jugoslavia - arringò Pannella - di associarsi alla Cee e questa richiesta significa porre a quel Paese il problema di una scelta per la democrazia politica». Un visionario. Forse? Ma questo tipo di politica gridata da Pannella a Trieste è la stessa che l’Unione europea ha avviato verso i Paesi Balcanici e dell’Est europa dopo il crollo del comunismo e la guerra jugoslava.
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